In tutta la storia repubblicana italiana, i palazzi del potere sono stati i luoghi di scontro e le tavole sedi di incontro. Quello che non poteva essere discusso, per discrezione o cautela, a Montecitorio, in Senato o a Palazzo Chigi, è stato affrontato davanti all’avversario e al piatto. Pasti e rimpasti, quindi. Ma proprio nell’anno in cui la crisi di governo sembra aprirsi forte e chiara, non è possibile fare cene: tra Renzi e Conte, quindi, si discuterà di rimpasti, ma senza pasti, probabilmente. Il decreto, infatti, prevede la possibilità di andare a trovare solo gli amici. E non è questo il caso.
In attesa di sapere cosa vorrà fare Matteo Renzi, ripercorriamo la storia della Seconda Repubblica e vediamo in quante occasioni la politica si è fatta a tavola, con patti che hanno preso simbolicamente il nome della pietanza.
Patto delle tagliatelle
22 ottobre 2018, storia recente. A Roma, Giuseppe Conte e i suoi vice Luigi di Maio e Matteo Salvini rinnovano l’intesa politica e gastronomica davanti a un piatto di tagliatelle. I tre fanno un resoconto del loro operato nei primi sei mesi di governo.
Il patto delle sardine
23 dicembre 1994. A casa di Umberto Bossi, allora segretario della Lega (ancora Nord, all’epoca), nel quartiere Eur di Roma, vengono convocati Massimo D’Alema, segretario del Pds, e Rocco Buttiglione, segretario del Ppi. Il rocambolesco trio sigla un’alleanza per il ribaltone con cui la Lega Nord decide di lasciare Forza Italia. Appoggerà poi esternamente il governo tecnico di Lamberto Dini. Nel frigorifero del Senatùr, però, non c’è granché: solo Coca Cola, pancarré, birre e sardine in scatola. D’Alema, qualche anno dopo, preciserà che optò per un più salutista digiuno. Effettivamente, D’Alema che beve birra e mangia sardine con Bossi e Buttiglione è un quadretto che si fatica a immaginare.
Il patto della crostata
Giugno 1997. Ancora D’Alema. Questa volta però la cornice è la casa romana di Gianni Letta. Sono invitatati anche Franco Marini, del Ppi, Gianfranco Fini, per Alleanza Nazionale, e naturalmente Silvio Berlusconi. Si adotta un Molotov – Von Ribbentrop casereccio: è un patto di non aggressione tra centro destra e centro sinistra per dare avvio alle riforme della Costituzione. La signora Letta, per l’occasione, aveva preparato una crostata per chiudere il pasto e la discussione: i quattro avevano in mente un governo semipresidenziale e un sistema maggioritario a doppio turno per le elezioni. D’Alema, da parte sua, si impegnò a non premere sulla questione del conflitto d’interesse, favorendo di fatto Berlusconi.
La spigola
Ancora D’Alema. E’ l’estate del 2008 e a mangiare con lui c’è Gianfranco Fini. Valutano di portare avanti delle proposte politiche comuni, davanti a delle spigole. Sempre lo stesso piatto, poi, verrà consumato nell’autunno di un anno dopo: a sedere con Fini questa volta c’è Berlusconi. Niente proposte in comune, questa volta: i due divorziano e qualche mese dopo, nell’aprile 2010, arriverà il famoso “Che fai, mi cacci?” di Fini all’affollatissima direzione PDL.
L’amatriciana
Anche ricordato come Patto del Nazareno all’amatriciana: è il 2016 e ci si interroga sul ruolo dei Cinque Stelle. Al governo c’è Renzi, che è ancora nel Partito democratico. Sembra una vita fa, vero? Alcuni esponenti del Pd sostengono che si potrebbe fare fronte comune con i grillini, almeno sulla legge di bilancio e sulla crisi dei migranti.
Il patto della frittata
Dicembre 1997. Di nuovo casa di Gianni Letta. Di nuovo Gianfranco Fini. E di nuovo Silvio Berlusconi: in questo caso c’è pure Walter Veltroni. E’ vicepresidente del Consiglio dei ministri presieduto da Romano Prodi e incontra le opposizioni. L’oggetto del contendere? La legge elettorale.
La pajata
Quando a tavola è seduto Umberto Bossi, bisogna dirlo, le scelte gastronomiche sono sempre interessanti. E’ l’ottobre del 2010 e siamo nella buvette di Montecitorio. Sul tavolo arrivano polenta, rigatoni con la coda alla vaccinara e vino dei Castelli romani. Seduti, uno di fronte all’altro, ci sono Gianni Alemanno, all’epoca sindaco di Roma, e il ministro delle riforme Umberto Bossi. E’ un pasto di riconciliazione, dopo anni di “Roma ladrona” e dopo, in quel caso, un’accesa polemica.
L’arancino
Trattoria del Cavaliere, Catania. Novembre 2017. Di cavaliere ce n’è un altro, seduto al tavolo: è Silvio Berlusconi, che pasteggia in compagnia di Matteo Salvini, Giorgia Meloni, il segretario Udc Lorenzo cesa e il candidato governatore della Sicilia Musumeci. A rendere il gruppo ancor più pittoresco arriva anche l’assessore designato Vittorio Sgarbi. La riunificazione della destra è siglata dagli arancini, in vista delle elezioni politiche del marzo successivo.
La pizza bianca
E’ l’agosto del 2019. C’è appena stato l’harakiri parlamentare di Matteo Salvini. Il sottosegretario di Stato Spadafora mette a disposizione il suo appartamento a Castel Sant’Angelo per la discussione tra Di Maio e Salvini. Ordina pizza bianca per tutti e li lascia discutere. Di Maio vuole Conte, Zingaretti è disponibile, ma vuole che l’eventuale governo cambi rotta, per dare avvio al Conte Bis. Alla fine dell’incontro, Zingaretti chiama Renzi. Sembra una vita fa, di nuovo.
Elisa Ghidini