“Non è il pubblico a fraintenderci, spesso siamo noi che avremmo potuto esprimerci meglio“.
– Pasquale Quaranta, il nuovo Diversity Editor de “La Stampa”
Negli ultimi anni, la spinta verso i temi della Diversità e dell’Inclusione ha raggiunto un’ampia gamma di settori, tra cui anche quello dei media. In molte redazioni internazionali sono iniziate a sorgere nuove figure professionali, come quella ricoperta da Krissah Thompson, Editor for Diversity and Inclusion al “The Washington Post”, o da Joseph Harker, Senior Editor for Diversity and Development al “The Guardian”.
Il loro compito è quello di concentrarsi sul miglioramento e sulla promozione delle diversità sia nella redazione per la quale lavorano, sia nella copertura mediatica. Allo stesso tempo, essi devono favorire l’inclusività, così che non avvengano discriminazioni basate su stereotipi o pregiudizi.
Pasquale Quaranta, il nuovo Diversity Editor de La Stampa
In Italia, il primo a ricoprire il ruolo di Diversity Editor è Pasquale Quaranta, giornalista e attivista per i diritti delle persone lgbtq+. Nato a Salerno, dove ha fondato nel 2003 l’associazione di cultura omosessuale Federico Garcia Lorca, è stato anche consigliere nazionale Arcigay e portavoce del Salerno Pride 2005. Da sempre interessato all’analisi della rappresentazione delle persone lgbtq+ nei media, nel 2011 fonda OMO – l’Osservatorio Media e Omosessualità. Negli anni ha collaborato con numerose testate tra cui Gay.it, Gay.tv e Babilonia prima di entrare nel gruppo GEDI nel 2013, dove si è occupato principalmente della copertura giornalistica video e social di Repubblica.it e Repubblica.tv.
Dal 12 maggio 2023 lavora al desk del quotidiano “La Stampa” come Diversity Editor. Il suo compito sarà quello di “sensibilizzare la redazione e il pubblico creando contenuti inclusivi e rappresentativi che riflettano l’ampia gamma di punti di vista ed esperienze in modo accurato e rispettoso” e lo farà attraverso una rubrica, di cui sono già uscite diverse puntate.
Nell’intervista, ci racconta le novità apportate da questo nuovo ruolo che ricopre all’interno del giornale, ricordandoci che <<abbiamo dato un nome a un qualcosa che già esiste nelle redazioni: esistono già valide colleghe e colleghi in Italia che negli anni hanno coltivato un’area di competenza sulla diversity. Quello che manca è l’ufficialità del loro ruolo, come avviene per colleghe e colleghi con analoghe competenze ma in altri settori. È importante fare rete e collaborare.>>
Pasquale sottolinea il fatto che lo scopo dell’Osservatorio media Omosessualità, ad esempio, nasce proprio per connettere i giornalisti delle varie testate che si occupano o che si sentono vicini a queste tematiche.
Da quando sei stato nominato Diversity Editor hai notato un cambiamento anche nelle altre testate verso l’istituzione di questa nuova figura?
<<Secondo me è ancora troppo presto per dirlo. Nel senso che non si è ancora verificato un ‘effetto diversity editor’, ma c’è attenzione da parte di colleghe e colleghi che mi scrivono la gioia – usano proprio questa parola – per qualcosa che era evidentemente nell’aria. Spero che nascano Diversity Editor o figure analoghe anche in altri giornali italiani.>>
Quindi in cosa è diversa “La Stampa”?
<<Mi piace pensare che La Stampa abbia un po’ nel DNA il gene dell’innovazione, in dialogo con lettrici e lettori. Il Diversity Editor è in continuità ideale con la storia più recente del giornale, che ha visto l’istituzione in passato di alcuni ruoli come il Web Editor, il Social Media Editor, la Public Editor. Quindi mi piace pensare che il Diversity Editor faccia già un po’ parte dell’identità de La Stampa, proprio perché ha previsto figure analoghe di innovazione e contatto con i lettori>>.
La nascita di questa nuova figura professionale nel campo giornalistico può essere vista coma un passo in avanti nella cultura e nella società italiana o rappresenta piuttosto un ulteriore strumento di difesa contro le discriminazioni che molte persone devono affrontare ancora oggi?
<<Sono dell’idea che molto spesso le cose non siano necessariamente “o-o’” ma che possano essere anche “e-e”. Oggi possiamo considerare questo come un passo avanti, ma se questa figura dovesse ancora esistere tra dieci o vent’anni, rappresenterebbe un problema, poiché significherebbe che non abbiamo progredito. Questo è un passaggio necessario secondo me, con l’auspicio che prima nascano tanti e tante Diversity Editor nelle testate italiane e poi scompaiano, perché non sarà più necessario tale ruolo>>.
Qual è stata la reazione del mondo del giornalismo e dei tuoi colleghi quando avete annunciato la notizia?
<<C’è chi mi percepisce come un ‘poliziotto del gender’, chi difende lo status quo e vuole le cose “come sono” in nome di una presunta purezza della lingua che potrebbe essere violata. Mi chiedo sempre perché siamo così terrorizzati dalle parole. Il linguaggio cambia col tempo e va riconosciuto il cambiamento perché non si può arrestarlo. Ma c’è anche chi in redazione si avvicina con rispetto e sembra quasi camminare sulle uova, con la paura di commettere errori. Sempre più colleghe e colleghi manifestano curiosità sull’argomento e desiderano approfondire per evitare di diffondere a loro volta pregiudizi e stereotipi. Nel mio piccolo, cerco di aumentare la consapevolezza su questi temi e sulla grande responsabilità che abbiamo come giornaliste e giornalisti. Credo fermamente che, attraverso il nostro lavoro, possiamo essere protagoniste e protagonisti di un cambiamento sociale e culturale nel nostro Paese>>.
Che tipo di iniziative pensi allora di intraprendere per educare e sensibilizzare colleghi e giornalisti ad essere più attenti nei confronti di queste tematiche ?
<<Il mio approccio rimane quello del “siamo tutti sulla stessa barca”. Anch’io, nonostante abbia un’esperienza ventennale nel settore, commetto errori. È il linguaggio che evolve. Io non mi faccio maestro e cerco di capire quali possano essere le ragioni per cui una persona ad esempio ha usato una parola invece di un’altra o magari ha detto le cose giuste ma le ha contestualizzate male. Su richiesta della direzione ho già fornito delle linee guida interne per i social, ma la mia ambizione è quella di redigere, con l’aiuto delle associazioni, una vera e propria Carta deontologica arcobaleno che l’Ordine dei giornalisti possa recepire nel Testo unico dei doveri del giornalista>>.
Tu tratti temi molto importanti ma anche molto delicati. Non solo diritti civili e comunità lgbtq+, ma anche disabilità, migrazione e religione, solo per citarne alcuni. Ad oggi non esiste un corso per diventare Diversity editor, quindi quali sono le qualità e le competenze che bisogna avere per ricoprire questo ruolo?
<<Sicuramente c’è bisogno di tutte quelle qualità di cui ha bisogno una persona per essere un giornalista. L’Editor non è altro che un professionista che lavora in redazione, diverso dal reporter, che invece lavora all’esterno della redazione. Essendo all’interno, l’editor ha maggiori opportunità di sollecitare l’azienda o il gruppo editoriale per attuare politiche di Diversity & Inclusion. L’empatia riveste un ruolo fondamentale, così come la costante volontà di mettersi in discussione. Inoltre, è importante avere umiltà nel comprendere che non è il pubblico a fraintenderci, spesso siamo noi che avremmo potuto esprimerci meglio>>.
Di sicuro è un lavoro impegnativo…
<<Un rischio significativo è diventare il bersaglio delle critiche all’esterno del giornale, poiché, avendo una figura dedicata a tali temi, il pubblico, specialmente sui social media, è ancora più implacabile quando si verificano errori o ci sono titoli controversi. L’attenzione è massima, ma l’errore è sempre in agguato. Anch’io commetto errori, ciò che conta è essere aperti all’ascolto di chi ci legge e comprendere come possiamo migliorare, comunicando senza discriminare>>.
Hai qualche consiglio da dare a chi ci legge?
<<Si, più che altro un appello: invito tutti coloro che ci leggono a fornire suggerimenti, critiche sincere e costruttive, e raccontarci le loro storie>>.
Auguri di buon lavoro a Pasquale ma gli consiglio di fare attenzione: questo genere di iniziative potrebbero sfociare in un appiattimento perché di solito hanno la bizzarra tendenza a presentare qualunque evento sotto un unico punto di vista e pure pieno di incoerenze.
Esempio: da un’iniziativa del genere PURTROPPO mi aspetto che da una parte giustamente destigmatizzi il sex work e dall’altra, assurdamente, stigmatizzi gli alpini se al raduno chiedono al portiere dell’hotel di procurargli delle sex-workers. O addirittura si metta a parlare di “fidanzate e mogli e madri e sorelle” come un prete se un tizio promette in premio un pullmann di t***e.
MA se vuoi destigmatizzare il sex work allora nel caso degli alpini non puoi dire proprio nulla, e nel secondo non serve fare finta di essere chierichetti, è sufficiente far notare che si dice “sex workers”, per il resto son professioniste e non è diverso da promettere una cena al ristorante.
Al pubblico gli cascano i cosiddetti se vi produrrete in incoerenze del genere, oltretutto prevedibilissime come se ci fosse un pattern prestabilito, è questo che intendo per “fai attenzione”.