Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale scomodo

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Guardando con freddezza al tempo che è passato dal 1975 ad oggi non si capisce se quel potere – sempre identico a se stesso – fosse più feroce oggi o allora; un potere che consentiva, comunque, a quella voce di esprimersi dal simulacro mediatico del Corriere della Sera, che piano piano lo uccideva

Agli inizi degli anni ’70 un intellettuale eretico e avverso alle etichette, ha rappresentato il grido più forte e disperato contro il consumismo capitalista. Contro l’omologazione di massa, il potere senza volto, la progressiva perdita d’identità della società rurale. Non solo, il suo è stato anche uno sguardo lucido, a tratti cinico, sulla società contemporanea che, in quegli anni, usciva dal benessere del boom economico per immergersi, da spettatrice, nel gorgo del ’68 e dello stragismo.

Era la voce di Pier Paolo Pasolini, intellettuale tra quelli più attivi e poliedrici nel panorama culturale di quegli anni. Capace di cogliere i cambiamenti della società italiana, con un’amara analisi sul consumismo che divora. Dopo gli scontri a Valle Giulia a Roma, nel marzo del 1968, in una poesia Pier Paolo Pasolini scrive:

Attenti, – dice Pier Paolo Pasolini – quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte con i poliziotti io simpatizzavo per i poliziotti, perché i poliziotti sono i figli di poveri.

Scrittore, poeta, regista, giornalista, ma anche filosofo e pittore. Autore di film che resteranno nella storia del cinema italiano come: Accattone, Mamma Roma, Uccellini Uccellacci. Autore di romanzi come: “Ragazzi di vita”,“ Una vita violenta”, “Petrolio”. Pier Paolo Pasolini  uno degli scrittori più attento alla realtà che cambiava, soprattutto, una realtà nascosta e poco raccontata. Come quella delle borgate, dell’emarginazione, di quello che una volta si chiamava il sottoproletariato.

E’ stato l’ intellettuale che più ha saputo intuire il futuro della nostra società. Uno dietro l’altro , Pasolini, ha smontato i tabù della nascente vulgata progressista: aborto, droga, consumismo, ambiente. Ma la vera ossessione,  per Pasolini, è l’omologazione, cresciuta all’ombra di una potente nostalgia per la terra

L’eresia di un poeta, scrittore, narratore e regista

Pier Paolo Pasolini è soprattutto un poeta, “ne nascono pochi in un secolo, tre o quattro” – diceva Moravia -, e Pasolini è uno di questi. E’ stato un poeta diverso dagli altri, un poeta per cui si potrebbe parlare di eresia, e l’eresia, riguarda sia il dato letterario poetico che il dato politico. Il suo atteggiamento è stato quello di cominciare come poeta squisito e sublime della lingua, per arrivare a scoprire la storia e il dovere di un impegno, in quanto essere umano sulla terra.

Un dovere politico riconosciuto poi, forse anche alla fine della vita, in un suo bellissimo scritto nel messaggio di Leopardi. Un poeta civile oppure incivile, nel senso di un poeta senza cittadinanza politica e letteraria. Di opposizione, contro. Pasolini è stato un compagno ed un critico della gioventù, compagno perché chiunque lo legga sente rainbow . Il poeta che più ha rischiato e, infatti, c’ha lasciato la pelle per la poesia.

E’ stato anche un regista; strano, disturbante, particolare, geniale. Pasolini ha studiato all’Università di Bologna ma ha trascorso gran parte della sua giovinezza  nel piccolo paesino, friulano, della mamma. Un luogo dove era fuori da ogni contatto culturale, la cultura italiana del tempo gli è arrivata attraverso il cinema, attraverso i primi film del neorealismo italiano. Proprio ciò a spinto la sua idea di scrivere racconti, novelle, romanzi.

Osservatore dei costumi e dei cambiamenti della società

Pasolini con una sincerità assoluta. Da molti considerata scandalosa. Non parla solo attraverso i versi delle poesie, le parole dei romanzi o le immagini del cinema, ma anche, e direttamente, sulle pagine dei giornali. Fascismoantifascismo, Chiesa, borghesia, consumo, edonismo, sono le parole chiave dei suoi ‘Scritti corsari’. Gli articoli pubblicati dal Corriere della sera che agli inizi degli anni ’70 lo chiama a collaborare.

Nella prima metà degli anni ’70, sul Corriere della Sera, molto in evidenza, c’è sempre un articolo, dal titolo molto evocativo e preciso: “Scritti corsari”, sotto c’è la sua firma. Nel novembre del ’74 il Corriere della Sera Pubblica un articolo: “Il romanzo delle stragi”. Scrive Pasolini:

“Io so, so chi ha compiuto le stragi, chi ha coperto, chi ha depistato. Io so – scrive – perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto quello che succede, che coordina fatti anche lontani, che mette assieme pezzi disorganizzati e frammentari  di un intero quadro politico, che ristabilisce la logica la dove sembra regnare: l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.

Un uomo così, se è un uomo onesto e libero, è un uomo che da fastidio. Un intellettuale così è un intellettuale scomodo. Bisogna però ricordare che lui non è stato uno scomodo, è stato un fustigatore della società borghese, dalle prime colonne del Corriere della Sera. Il quotidiano della grande borghesia milanese, che, evidentemente, aveva bisogno di farsele dire queste cose.

Le sue riflessioni espresse con le parole  secche di un saggio, oppure con quelle poetiche di un verso, o nell’immagine di un film. Un intellettuale scomodo, che non guarda in faccia nessuno, capace di capire i cambiamenti della sua società anche dalla scomparsa delle lucciole. Di mettere in luce tutte le contraddizioni di quegli anni, anche se non sono politicamente corrette, anche se disturbano.

Da Casarsa a Roma mette in luce tutte le contraddizioni di quegli anni.

Da quando parte da Casarsa e arriva a Roma , quando la sua voce comincia a farsi sentire a livello nazionale, Pier Paolo Pasolini subisce una vera e propria persecuzione giudiziaria. Soltanto per i suoi film viene denunciato 33 volte; Mamma Roma, La Ricotta, I Racconti di Canterbury, il Decameron, Salò e le 120 giornate di Sodoma. Vengono accusati di offesa al comune senso del pudore, oltraggio alla religione, vilipendio. Vengono  censurati e sequestrati e poi sempre scagionati e dissequestrati.

In diverse occasioni riceve attacchi e derisioni dalla Destra; la parte politica che Pasolini ha sempre attaccato, più di una volta, duramente. Anche dalla “sua” Sinistra e, soprattutto, dal Partito Comunista che, in alcuni casi, prese le distanze. Come quel 26 ottobre del 1949, quando fu espulso dal Partito Comunista di Pordenone, per indennità morale e politica. Secondo alcune voci, raccolte in paese, i carabinieri avevano accusato Pasolini di essersi appartato con alcuni ragazzini. Un’accusa che poi era caduta.

E proprio in merito alle tante persecuzioni giudiziarie, in una delle sue interviste, Pasolini dice:

“Mi sembra invece più interessante dire qualcosa meno oggettivo di questo mio rapporto drammatico con la società. Dovrei dire che questa specie di persecuzione o di linciaggio,  nei miei riguardi, sono dovute, in Italia, a due elementi della società italiana: il moralismo e il qualunquismo.

Nel momento in cui uno ci ascolta nel video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore che è un rapporto spaventosamente antidemocratico.

Non sono un qualunquista, tendo più verso una forma anarchica  che verso una scelta ideologica di qualche partito. Questo si,  ma non è che non credo ai partiti. Come non è affatto vero che non credo nel progresso. Io credo nel progresso , non credo nello sviluppo e, nella fattispecie, in questo sviluppo.

Il regime è un regime democratico etc. etc., quella acculturazione e quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere è il potere che detiene oggi. La civiltà dei consumi è riuscita ad ottenerlo perfettamente distruggendo le varie realtà particolari”.

Un bersaglio per tutti

Pochissimi lo hanno amato per il suo valore, per ciò che era. E’ stato un bersaglio da parte della Destra, da parte della Conservazione, da parte del mondo della Destra Cattolica. Anche la Sinistra non lo ha amato. Da ricordare le grandi polemiche che la stessa Unità faceva contro le sue prese di posizioni. La difesa della polizia contro i sessantottini, la difesa del proletariato, del poliziotto proletario rispetto alla piccola borghesia studentesca, la scelta di stare dalla parte della polizia.

Allora in quei primi anni’70 chi poteva, a Sinistra, fare una scelta di questo genere? Bisognava, avere lo sguardo lontano nel futuro per capire e per cogliere nel giusto. Oppure l’omologazione tra Destra e Sinistra, tra i giovani. La indistinguibilità tra i giovani di Destra e di Sinistra dal punto di vista estetico e culturale. Era un uomo oggetto di persecuzione continua: giudiziaria, politica, intellettuale. Ma la sua forza era talmente alta che era il vero intellettuale di quegli anni, totalmente isolato  oggetto di continui attacchi. Nonostante ciò non riuscivano a scalfire la sua forte presenza nella società italiana.

Il mistero della morte improvvisa di Pasolini

Il  suo corpo, privo di vita, viene ritrovato a Ostia il 2 novembre del 1975, le circostanze della sua morte rimangono tuttora misteriose. Uno strano mistero, pieno di contraddizioni e di lati oscuri. Perché è un giallo, un omicidio in parte ancora da chiarire. Ma, soprattutto, è il mistero di un uomo, ed è un mistero profondo. Uno di quelli che toccano l’anima intera di una Nazione.

Raccontando oggi le vicissitudini di quella notte, tra il 1 e il 2 novembre, del ’75 sembra la scena di un film. Uno di quei polizieschi italiani che si vedevano in quegli anni, gli anni ’70. Roma violenta o il trucido e lo sbirro. Ma non si tratta di un film, bensì di cronaca, cronaca vera. E’ la cronaca degli anni ’70.

La cronaca che espone la misteriosa morte di un poeta, di Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più acuti, più vivaci e più discussi del nostro Paese. Uno dei più grandi e dei più originali ma, allo stesso tempo, uno dei più contraddittori.  Ritrovato morto all’Idroscalo di Ostia. Una zona popolare, molto degradata, piena di casette abusive, poco più che baracche.

La notizia della sua morte fu una notizia che colpi tutta l’Italia. Ai suoi funerali partecipo una folla imponente di intellettuali, scrittori, registi. Ma anche lettori, spettatori, gente comune.

All’Italia manca, oggi, la voce di uno come Pasolini; manca la sua voce limpida, la sua poesia, la sua arte, la sua eresia. Manca il suo essere e sapersi mischiarsi al popolo;  essere voce e popolo insieme.  Oggi potremmo definire l’Italia un Paese che si avvita su se stesso. Che ha in odio le voci libere, che ha concepito la figura dell’intellettuale organico al potere, ai partiti, ai movimenti. Il potere che irrazionale si muove per la Penisola e le isole. Un potere anarchico, psicotico, asserragliato nelle sue infinite torri d’avorio.

 

 Felicia Bruscino             

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