Parto in casa: l’ambulanza non arriva in tempo e il bambino nasce aiutato dal papà

Parto in casa

Durante ogni corso pre-parto che si rispetti, viene spiegata la differenza fra travaglio e periodo prodromico. Quest’ultimo è l’arco di tempo che precede il travaglio, caratterizzato da contrazioni irregolari in quanto variabili per intensità, frequenza e durata. Non c’è una regola relativamente al decorso, che è diverso per ogni parto e che può durare qualche ora oppure interi giorni. In ogni caso, quello che in genere viene raccomandato alle donne è di non andare in ospedale troppo presto. Piuttosto, è bene fare un bagno rilassante o una doccia calda, mangiare qualcosa di leggero e prepararsi con calma al parto, recandosi in ospedale solo a travaglio avviato. E in genere si tratta di un consiglio sensato, è infatti dimostrato che la preventiva ospedalizzazione può influenzare negativamente il travaglio, talvolta bloccandolo o comunque esponendolo a inopportune interferenze (induzioni, accelerazioni, monitoraggi continui).

Venire al mondo aiutati dal papà…

Tuttavia, raramente può capitare che tutto il processo sia talmente veloce che non solo ci si risparmia il ricorso anticipato alla medicalizzazione, ma la si evita proprio, partorendo direttamente a casa! È quello che è successo a Gropello Cairoli, in provincia di Pavia. La mattina del 9 aprile 2018 una donna ha improvvisamente avvertito le contrazioni, un po’ in anticipo dal momento che si trovava solo all’ottavo mese di gravidanza. Il marito ha chiamato un’ambulanza, che è partita subito. Poiché la situazione ha subito una brusca accelerata, l’uomo ha chiamato nuovamente il Numero di Emergenza e, prima che l’ambulanza potesse raggiungerli, ha aiutato la moglie a far nascere il loro bambino. A guidarlo telefonicamente è stato l’operatore. Gabriele pesa circa tre chili, è in buone condizioni di salute ed è ricoverato con la sua mamma al Policlinico San Matteo.

…o dalla nonna!

Una storia simile l’anno scorso ha visto protagonista Lorena Bellano, coordinatrice di Ultima Voce. Nella notte tra il 7 e l’8 maggio 2017 Lorena ha avvertito le avvisaglie del parto e i famigliari hanno chiamato i soccorsi. Il parto è però stato talmente rapido che mamma-nonna Mimma ha dovuto improvvisarsi ostetrica. Così all’arrivo dell’ambulanza la piccola Sara era già tra le braccia della sua mamma. Del resto partorire in casa, con l’aiuto del marito o della mamma può anche essere preferibile a una fredda sala parto popolata da estranei.




Di sicuro è preferibile a partorire in auto. È quello che è accaduto sempre l’anno scorso, ma a giugno, in provincia di Caserta. Una donna prossima al parto si stava recando in ospedale in auto con il marito, quando è stata costretta a fermarsi e partorire sul posto, aiutata da alcuni passanti. Nemmeno questo è un caso isolato. Qualche mese prima, a Polistena, un’altra donna aveva già partorito in auto, stavolta però in un Pronto Soccorso con tanto di supporto medico. La donna, giunta in ospedale, non ha fatto in tempo a scendere dall’auto, quindi l’ospedale, per quanto possibile, si è spostato nell’auto.

Quando il parto in casa viene scelto

Storie a lieto fine che fanno sorridere. Non sempre, però, i parti avvengono in casa perché i bambini hanno troppa fretta di venire al mondo. Sempre più spesso, infatti, sono le donne a scegliere consapevolmente il parto in casa. Per quanto questa possa sembrare una decisione azzardata, essa è in realtà supportata dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE).

Già nel 2014 il prestigioso Istituto inglese affermava che per le donne con una gravidanza fisiologica, il modo più sicuro di partorire è proprio il parto in casa o presso i centri nascita. Insomma, le donne che non presentano rischi dovrebbero partorire senza medici. Questo perché, evidenze scientifiche alla mano, i parti extraospedalieri sono soggetti a una percentuale inferiore di effetti avversi e subiscono un numero minore di interventi medici non necessari (episiotomia, taglio cesareo, utilizzo della ventosa). Essi comportano, inoltre, una minore incidenza di infezioni.

Il documento pubblicato dal NICE afferma che a ogni donna dovrebbe essere riconosciuto il diritto di scelta, precisando che solo alle donne ad alto rischio dovrebbe essere raccomandato il parto in ospedale. In fin dei conti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene da molti anni che il parto deve avvenire al livello di assistenza più basso compatibile con la sicurezza.

Libertà di scelta in Italia

Per partorire a casa occorre anzitutto presentare un basso rischio, da valutare nel corso di tutta la gravidanza. Poi ci si deve rivolgere a un’ostetrica libera professionista abilitata ad assistere al parto a domicilio. Il Sistema Sanitario Nazionale non offre questo servizio e, con buona pace della libertà di scelta, nemmeno lo rimborsa, a eccezione di Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Lazio e Provincia Autonoma di Trento. Il costo è di circa duemila euro, dunque non proprio accessibile a tutte. Per questo, almeno per il momento, non si può parlare di una vera e propria libertà di scelta.
E in caso di emergenza? Sul sito nascereacasa.it si legge che per le donne definite e basso rischio la probabilità che si verifichi un’emergenza è estremamente rara e sovrapponibile ad altri eventi, come per esempio un viaggio. Se questa dovesse verificarsi, l’ostetrica presente è in grado di intervenire nell’attesa del trasferimento in ospedale, che non deve distare più di 30/40 minuti.

Ridurre al minimo l’assistenza medica durante il parto

Qualcuno potrebbe tuttavia pensare che, per quanto basso, un rischio è sempre un rischio. Un buon compromesso tra parto in casa e parto classico ospedalizzato, quindi, potrebbe trovarsi nella de-medicalizzazione della sala parto. Tale soluzione dovrebbe prevedere il rispetto dei tempi naturali del travaglio, la creazione di un ambiente il più confortevole possibile e la limitazione dell’intervento medico ai soli casi di gravidanza problematica e parto difficile o prematuro. Queste cose (e molte altre) sono già previste dalle linee guida dell’OMS, ma non tutti gli ospedali le tengono in considerazione. La maggior parte di essi, infatti, deve fare quotidianamente i conti con i continui tagli della spesa. La carenza di personale, la necessità di sostenere ritmi sempre più pressanti e l’urgenza di far fronte a un numero di pazienti superiore alle proprie capacità spinge gli ospedali pubblici a preferire percorsi standardizzati e prevedibili, rispetto all’imprevedibilità della natura. Tutto ciò comporta il ricorso a interventi medici non necessari e talvolta addirittura dannosi.

Michela Alfano

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