Nell’eterna commedia politica i social network stanno diventando il mezzo più efficace, per arrivare al cuore o alla pancia delle persone.
Ciò che un tempo veniva affrontato nell’antica “stanza dei bottoni”, a colpi di iniziative parlamentari, opposizione spietata e conflitti intestini, si è ora spostato sull’etere, grazie a uno strumento che, nel bene e nel male, veicola e influenza le opinioni e i costumi.
Molti sono i politici i quali, senza distinzioni d’età, affidano a un tweet o una foto, il loro commento o la proposta del giorno, poiché hanno compreso l’importanza virale dell’istantaneità.
In questo gioco delle parti, la sinistra tradizionale e il Partito Democratico sembrano non volersi adattare alla velocità dei nuovi opinion leaders.
Basta dare uno sguardo veloce ai singoli profili social dei prossimi candidati alla segreteria, per accorgersi di quanto siano restii ad accettare una copertura mediatica, la cui potenzialità dipende tutta dalla propria consapevolezza.
Non è difficile comprendere in questo disegno, quell’incapacità di guardare in prospettiva alla società del futuro, bollata già come massa globale e destinata ad essere costantemente educata. Il risultato è una tardiva capacità di approccio ai nuovi mezzi di comunicazione, che si traduce in una chiara inadeguatezza a guidare un vero “governo del cambiamento”.
Facebook che è uno dei motori principali di traino delle nuove generazioni, continua a vedere una presenza molto scarsa del Partito Democratico e dei suoi rappresentanti: fatta eccezione per Matteo Renzi, la vecchia guardia continua a restare ancorata ai valori etici della politica tradizionale indiscriminata. Tutto questo accade mentre altri trascinatori emotivi, Salvini in prima linea, continuano a fare il pieno di consensi proprio tra i più giovani. A poco servono le recenti vicende giudiziarie del vicepremier e ministro dell’interno: mentre al centro e destra del Partito Democratico stanno ancora a chiedersi perché continuano a fallire, il leader della lega, tra un cinguettio e una foto su Instagram, delinea il volto nuovo del politically uncorrect.
E’ così il Partito Democratico, la forza progressista che doveva conservare l’eredità di Gramsci e del vecchio Partito Comunista, si è trasformato in poco più di dieci anni, in un gruppo sempre più chiuso e conservatore, tanto da far rimpiangere pregi e difetti della “Prima Repubblica” e persino il liberismo berlusconiano.
Mentre Salvini cerca di solleticare l’a’ttenzione populista, alla stregua di un Trump più istrionico per cui; “tutto fa brodo”, il Partito Democratico ricerca ostinatamente quella configurazione liberale dei democratici americani, asservendosi di social più autorevoli come Twitter.
Non è ovviamente l’abito a fare il monaco, ma si può dire che anche in questo modus operandi vi sia la tendenza ad una raffigurazione classista e iconoclasta di quello che, un tempo era il partito di riferimento dei lavoratori e delle masse proletarie; le stesse che gradualmente hanno scelto lo sfogo e la rabbia.
Volendo stilare una classifica dei leader più carismatici del Partito democratico, adattandola all’indice di gradimento necessario alle prossime primarie, i candidati mostrano enormi differenze, riguardo l’uso dei social e la spontaneità delle proposte ai potenziali elettori.
Tra candidati più influenti compare Nicola Zingaretti. L’attuale governatore del Lazio è infatti l’unico ad avere numeri interessanti di utenti e sostenitori, oltre ad una strategia chiara e misurata sia nel linguaggio che nei contenuti. Una formula efficace per un politico che continua a conquistare popolarità a sinistra, dimostrando volontà e fermezza nel separare la vita pubblica da quella privata.
Dal punto di vista empatico, Matteo Richetti mantiene una visione d’insieme molto simile al suo avversario romano, ma è in grado di utilizzare un linguaggio più spontaneo e affine a sperimentare nuove forme d’interazione con i suoi followers su Instagram.
Francesco Boccia, con le sue foto su e giù per i luoghi simbolo dell’Italia, sembra voler costantemente rispondere alle nuove esigenze dei potenziali elettori, attraverso un largo uso di quello che è un tempo era solo il simbolo del diesis, nella notazione musicale; ossia l’hastag.
Eterno assente è Marco Minniti, ultimo candidato temporale alle primarie del Partito Democratico e che, ligio ad una visione molto tradizionalista della politica, non ha mai affidato alcuna comunicazione pubblica ai social network.
Scelte di controtendenza, nella conservazione dello status quo?
I posteri decideranno il futuro e il reale valore della nuova classe politica italiana; per ora resta solo l’amara consapevolezza del fatto che Partito Democratico prima e sinistre di governo varie dopo, hanno continuato e forse continueranno a fare “orecchie da mercante” al vero e principale bisogno di una paese, stretto nella morsa delle politiche di austerità europee e della precarietà economica e sociale: questo bisogno è la sincerità.
Fausto Bisantis