Nell’imbattersi in quest’immagine, il primo pensiero a balenare in mente potrebbe essere di giovani, moderni “partigiani del clima”, in marcia fra montagne innevate, per difendere l’ambiente. Altrimenti, nel vederli così in fila lungo il sentiero sul pendio, si potrebbe pensare a un esodo di “profughi” della crisi climatica. Solo che questi quasi 600 ragazzi sono attivisti, fanno parte di quei Fridays for Future che riempiono le città e i giornali, e sono in marcia verso Davos, in Svizzera.
Giovani partigiani del clima?
“Esibizionisti” piuttosto, fischieranno alcuni. L’iniziativa – personalmente – è grandiosa, geniale. E per farmi un’idea dell’esperienza, ho contattato Laura, che ha preso parte al cammino dall’Italia insieme ad altri 13 compagni, mentre nel frattempo, da Sondrio, un altro gruppo puntava alla meta sugli scii: 139 kilometri per raggiungere Davos, più un confine di stato da attraversare, “strade chiuse in inverno” mi avverte Google quando provo a cercare il percorso sulla mappa. Per parlare con Laura, dobbiamo farci dare il suo numero di casa: diciannovenne piemontese e – difficile a credersi – una di quei pochi ancora che “non possiede un cellulare”, come avverte la persona che ci ha messe in contatto. Un altro in-trascurabile segnale, che questi Fridays for Future possiedono – non solo la speranza – bensì l’immenso potenziale di cambiare il mondo.
Ma perché proprio Davos? Un’apparentemente anonima cittadina svizzera che di poco supera i 10 mila abitanti. Ebbene anonima mica tanto: “La località è nota in tutto il mondo perché ospita l’annuale Forum economico mondiale […] ed è rinomata per gli sport invernali” – echeggia Wikipedia.
Ed è difatti qui, che l’attivista Greta Thunberg ha tenuto il suo ultimo discorso davanti ai leader del Forum economico. Dove c’è Greta però ormai, ci sono anche i cosidetti haters e soprattutto i negazionisti: ciechi davanti ai profitti contro la realtà dei catastrofici eventi, fra loro c’è il presidente Trump che risponde:
“Ambientalisti profeti di sventura”.
Intervenuto poche ore dopo la Thunberg, Trump ha infatti ribattuto coi successi– quelli che lui considera traguardi – dell’economia statunitense, screditando ciò che per lui non è che “pessimismo sul clima”.
Quindi “partigiani”, “profughi” o “profeti di sventura”, che dir si voglia, il messaggio è anche questa volta chiaro, e accomuna i mille ragazzi fra le nevi, infine approdati a Davos, alla figura esile di Greta sul palco del Forum: “No more business as usual” – che tradotto, è un’accusa all’immobilismo dei potenti di fronte al collasso climatico ed ecologico. A un anno di distanza, Greta Thunberg si ripresenta infatti al Forum economico 2020, e nel discorso tenuto lo scorso 21 gennaio, ha ribadito la condanna contro politiche economiche da parte dei governi, insieme ad azioni da parte delle aziende, che persino il segretario generale dell’ONU António Guterres aveva definito come sovvenzioni e finanziamenti destinati a “rendere più violenti gli uragani, diffondere la siccità, sciogliere i ghiacciai, sbiancare le barriere coralline. In una parola, per distruggere il mondo”.
Ma non è solamente questo il motivo dell’indignazione dei partigiani del clima: la denuncia è anche contro quel silenzio – o peggio, quelle vacue parole e false promesse – volte a dare l’impressione che qualcosa sta venendo messo in atto. È il caso ad esempio di Eni, recentemente multata dall’Antitrust per aver pubblicizzato il suo nuovo “bio-diesel” come combustibile “naturale”: greenwashing è appunto l’accusa, un caso che dovrebbe essere d’esempio contro tutte quelle compagnie petrolifere (ExxonMobil, Shell, Chevron, Bp e Total…) che nel 2018 hanno investito più di 200 milioni di dollari per rifarsi un’immagine “attenta all’ambiente”.
Ancora, inutile è piantare alberi in altri paesi per compensare le emissioni di anidride carbonica, quando le medesime compagnie stanno “massacrando intere foreste” a ritmi costanti: non è abbastanza, non è in questo modo che ripopoleremo la diversità andata persa. Perciò, non è di “green policy” che avremo bisogno per Greta e i partigiani del clima, tanto meno di “low carbon economy”, né di “ridurre” le emissioni entro (continuamente rimandabili man mano che non vengono rispettate) scadenze: le emissioni inquinanti devono subire uno stop, per riuscire a mantenere quel margine pericoloso di 1,5 gradi di surriscaldamento globale.
Laddove i negazionisti se la ridono quindi, Greta ha ormai imparato a rispondere con gli stessi toni, esordendo davanti a loro al Forum:
“Mi hanno avvertita che è pericoloso dire alle persone di andare nel panico perchè la loro casa è in fiamme: ma non temete, l’ho già fatto altre volte prima – e non ha portato a nulla.”
E laddove i governi spendono belle parole per poi dar mostra di assoluto immobilismo di fronte al collasso climatico ed ecologico, non sono più solamente coloro spesso etichettati come “bambini” dei Fridays for Future, ma interi movimenti a mobilitarsi: alla marcia dei “partigiani del clima” verso Davos quest’anno, hanno preso parte infatti anche collettivi come Extinction Rebellion, Klimatstreik, By 2020 We Rise Up e altri. Così, dunque, conclude Laura – testimone dell’esperienza – al termine del racconto regalato dai partigiani del clima:
“La cosa bella e stupefacente è che eravamo lì a camminare al freddo insieme per rivendicare il diritto di ogni uomo ad avere una vita, un futuro (per noi e soprattutto per i poveri, il sud del mondo, i nostri figli). Ho, abbiamo visto e dimostrato ancora una volta che un altro mondo è possibile: insieme possiamo fare cose giganti, anche risolvere la crisi climatica. E là ci sono i nostri avversari: un’élite che decide in che direzione far andare il mondo, per arricchirsi sempre di più a spese di altri e del pianeta, che non ha intenzione di ascoltare le nostre voci perchè significherebbe perdere i privilegi che ora hanno. Ho anche visto la speranza divampare, diffondersi insieme a noi per le strade. C’è ancora moltissima strada, ma le persone stanno riscoprendo il loro potenziale.”
Alice Tarditi
(Ringrazio Laura Vallaro per la testimonianza)
(Immagine in copertina: ©Andrea Umbrello)