Il termine “American Century” sembra avere la sua massima fortuna editoriale nel momento in cui gli Stati Uniti hanno meno fortuna e il “secolo americano” è in crisi e potrebbe essere sul punto di tramontare. O almeno così suggerisce Google Books se si interrogano i titoli e i testi dei suoi milioni di libri in American English con la funzione statistica Ngram (vedi la grafica qui sopra).
“American Century” ha avuto un primo momento di popolarità quando è stato coniato e messo in circolazione, durante la Seconda guerra mondiale. Probabilmente aveva allora per tutti il senso di un progetto, di un desiderio, di una slancio verso il futuro. Poi ha continuato a vivere in sordina fino agli anni 1990s, quando è di nuovo esploso all’attenzione di autori, giornalisti, analisti. Da allora in avanti, fino a oggi, probabilmente se ne è discusso soprattutto a proposito delle sue origini storiche e della sua storia, delle sue caratteristiche e della sua durata, del fatto se sia o meno destinato a finire, o se per caso non sia già finito.
L’invenzione linguistica, come ben si sa, fu dell’editore Henry Luce che scrisse un articolo con questo titolo, The American Century, per il suo periodico Life, nel febbraio 1941 (vedi qui). Molti mesi prima di Pearl Harbor, quindi – quando il mondo sembrava essere, in effetti, sull’orlo del secolo tedesco o giapponese, nazi-fascista o totalitario. Ma Luce diceva: il futuro appartiene agli Stati Uniti, benché gli Stati Uniti ancora non lo sappiano. Per la loro forza intrinseca, perché hanno, diremmo noi oggi, l’hard power e il soft power per esercitare la leadership mondiale. Perché hanno la forza economica di un sistema produttivo enorme, innovativo, efficiente. E perché proiettano all’esterno, in tutto il mondo, un modello desiderabile di società fondata sulla democrazia, la libertà e l’indipendenza individuale, l’eguaglianza di opportunità, l’iniziativa privata, l’abbondanza, i consumi di massa e una pop culture attraente.
Negli anni a noi più vicini è scomparso il pathos della nascita e il termine è usato in una grande varietà di modi, spesso guardando indietro o interrogando il presente con apprensione. Prendo a esempio di questi modi i titoli di alcuni libri post-2000, scelti a caso, senza alcuna intenzione sistematica o scientifica. C’è il modo che è, o almeno sembra, puramente storico descrittivo, tipo Puerto Rico in the American Century o tanti altri simili. C’è il modo che appare descrittivo ma forse è sottilmente interpretativo, tipo Henry Ford and the American Century, o magari oscuramente inquietante, tipo The Bin Ladens: An Arabian Family in the American Century. C’è il modo da giorno del giudizio, Journalism at the End of the American Century, e quello proprio da terminator: The End of the American Century, punto e basta E c’è il modo di chi non si arrende: Another American Century?, oppure The Next American Century – punto e basta.
Infine c’è chi è oltre, The Asian American Century, e possiamo ancora accontentarci, e poi sconfina al di fuori del nostro territorio lessicale per entrare in quello dei calchi: The Asian Century oppure The Chinese Century – e qui siamo all’ansia, alla contemplazione del disastro.