Perché le parolacce contro le donne riguardano sempre la loro libertà sessuale?

parolacce contro le donne

parolacce contro le donne

Attenzione: il seguente articolo contiene una notevole quantità di parolacce contro le donne e contro gli uomini, oltre a linguaggio scurrile vario, ma solo a fini statistici ed esemplificativi. Scusa, mamma.  

Dio benedica le parolacce. Dette a mezza voce, urlate, al semaforo, in ufficio, tra i banchi di scuola, come diceva Freud “le parolacce permettono la conservazione della società” e ci evitano almeno un paio di risse al giorno. Possiamo definire l’automobilista che ci sorpassa a destra “un coglione” o “una zoccola”.  Parliamo male del professore di matematica dicendo che “è uno stronzo” o della professoressa di latino, riferendoci a lei come “quella vacca”.  Imprechiamo contro “quel figlio di puttana” o “quella bagascia”, a seconda che abbiamo un capo uomo o donna.




Tutto regolare. Le parolacce, per la loro immediatezza, potenza liberatoria, capacità espressiva, sono insuperabili. Così come è insuperabile il sessismo di fondo che ci caratterizza anche nell’insulto. Se le invettive indirizzate ai maschi si basano prevalentemente sulla stupidità, sull’inefficienza, sulla disonestà, sul crimine, sulla cattiveria, sulla vecchiaia o sull’incapacità sportiva, quelle che riguardano la bruttezza sono pochissime. Ce ne sono poi di numerose riguardo all’orientamento sessuale maschile. Le parolacce contro le donne si riferiscono praticamente tutte all’aspetto fisico e al sesso, come passatempo disinteressato o come mezzo per ottenere altri vantaggi.

La parolaccia è quasi sempre misogina

Dalla parolaccia, quindi, passa la discriminazione basata sul genere sessuale. In italiano esistono moltissime parolacce in senso misogino, cioè di astio verso le donne, mentre sono significativamente minori quelle prettamente misandriche, cioè di odio verso gli uomini. In entrambi i casi il disprezzo si manifesta perché, come individuo, il soggetto non assolve al ruolo che gli o le è stato assegnato, in base a caratteristiche sociali e culturali considerate tipiche dell’identità maschile e femminile. Semplificando: dell’uomo si evidenzia la scarsa virilità, sia essa asessualità o omosessualità, mentre della donna si condanna la libertà sessuale. A questo si aggiungono tutta una serie di insulti all’uomo, passando però per la figura della madre o della compagna, come “figlio di puttana” o “cornuto”.




Come riporta anche Vito Tartamella sul suo blog, potremmo dividere le parolacce in tre categorie, a seconda che l’oggetto dell’insulto sia l’aspetto fisico, il comportamento generico e il comportamento sessuale.

Sessismo
verso la donna

Sessismo
verso l’uomo

Comportamento sessuale puttana (e sinonimi: vacca, troia, etc), pompinara, frigida (e sinonimi: figa di legno, etc), zitella puttaniere,  frocio (e sinonimi: culattone, ricchione, finocchio…), sfigato, impotente
Comportamento generico strega (e sinonimi: arpia, etc), isterica, oca, gallina, gattamorta, fighetta, sciacquetta bastardo, cazzone (e sinonimi: testa di cazzo, pirla, coglione, etc), mezzasega (e sinonimi: senza palle, etc), cornuto
Aspetto fisico racchia (e sinonimi: cessa, cozza, etc), culona, rifatta, travestito, asse da stiro cazzo corto, pelato

 

Perché proprio l’insulto sessuale?

Per il sesso, sia uomini che donne, vengono presi di mira senza pietà. Da questo punto di vista, gli insulti sessuali sembrano essere i più efficaci e, quindi, i più offensivi, proprio per la connaturata intimità dell’attacco, che va a colpire una sfera profonda e delicata, a colpo sicuro e allo stesso tempo in modo sbrigativo.

Qualche tempo fa, un’indagine di Vox, l’Osservatorio Italiano sui Diritti, ha svelato quali siano gli insulti più utilizzati su Twitter. Ha preso in considerazione essenzialmente gli insulti misogini e quelli omofobi. Nell’indagine non hanno trovato spazio gli insulti misandrici puri. La ricerca ha evidenziato una prevalenza di parolacce contro le donne, del 59%, rispetto a quelli omofobi, fermi al 6% del totale. Se si vuole offendere qualcuno, quindi, in 6 casi su 10 è probabile che si ricorra a un insulto misogino.

La storia delle parolacce

Le parolacce hanno una storia millenaria e le parolacce contro le donne sono le prime a comparire. Già nella saga di Gilgamesh, il più antico poema della storia, risalente al 2000 a. C., Shamhat viene definita una “baldracca” e trasforma il bruto Enkidu in un essere più civilizzato. Anche nella Bibbia (Ezechiele, 16, 30),  il profeta definisce la città di Gerusalemme “sgualdrina”, perché infedele.  Nell’antico Egitto, le imprecazioni riguardavano l’essere “femmine senza vulva”, l’essere “privi di madre” e l’impotenza. In lingua italiana, “fili de pute” sembra essere la più antica parolaccia, risalente alla fine del XI secolo. Tra l’altro, si può vedere scritta su un affresco nella basilica di San Clemente in Laterano. Nel Medioevo, l’attacco alla sessualità è l’offesa più efficace: compaiono insulti come “figlio di uno traditore”, “figlio di prete” o, ancora peggio, “figlio di prevetessa”, cioè dell’amante del prete.

Parolacce sul sesso

Nel libro del Kamasutra, secondo quanto riportato dall’autore Mario Cottarelli, ci si riferisce agli organi sessuali usando eufemismi ed espressioni poetiche come “stelo di giada” e “porta di giada”. Le parolacce utilizzate in riferimento al sesso, tipiche della nostra società sia come imprecazioni che come insulti, sono invece espressione di una visione negativa della sessualità, frutto di una  repressione portata avanti da secoli e sedimentatasi nel linguaggio.

La doppia morale dell’insulto sessuale

Nel suo studio su “La sessualità degli italiani” (ed. Il Mulino), il sociologo e professore emerito dell’Università di Bologna Marzio Barbagli evidenza come  l’italiano presenti evidenti tracce di doppia morale sessuale. La sessualità libera è concessa agli uomini, mentre per le donne è linguisticamente riprovevole. La sociologa Graziella Priulla, autrice di “C’è differenza”, ha elencato una lunga serie di parole di uso comune che, nel genere femminile, diventano sinonime di “prostituta”. 

Un cortigiano: un uomo che vive a corte Una cortigiana: una mignotta
Un uomo allegro: una persona di buonumore Una donna allegra: una mignotta
Un accompagnatore: una guida Un’accompagnatrice: una mignotta
Un intrattenitore: un uomo socievole, affabulatore Un’intrattenitrice: una mignotta
Un massaggiatore: un kinesiterapista Una massaggiatrice: una mignotta
Un professionista: uno che conosce bene il proprio lavoro Una professionista: una mignotta
Un uomo di strada: un uomo duro, temprato dalla vita Una donna di strada: una mignotta
Un uomo senza morale: un ladro, un delinquente, un corrotto Una donna senza morale: una mignotta
Un uomo molto disponibile: una persona gentile Una donna molto disponibile: una mignotta
Un uomo pubblico: un uomo famoso, in vista Una donna pubblica: una mignotta
Un uomo facile: una persona con cui è facile vivere Una donna facile: una mignotta
Un libertino: un uomo senza freni morali Una libertina: una mignotta
Un passeggiatore: un uomo che cammina Una passeggiatrice: una mignotta
Un uomo con un passato: un uomo di esperienza Una donna con un passato: una mignotta
Un uomo di mondo: un uomo di esperienza Una donna di mondo: una mignotta

 





La donna quindi, per il sessismo delle parolacce e per il sessismo in genere, deve avere una rigida etica sessuale. Della donna si condanna la lussuria, dell’uomo si condanna l’omosessualità o l’asessualità, messe incredibilmente sullo stesso piano. Molte parolacce contro le donne o semplici dispregiativi (es. “puttana”, ma anche “zitella”) non vengono praticamente utilizzati al maschile. Si pensi a “puttaniere”, che assume quasi una connotazione positiva, o addirittura “scapolo”, che non ha la valenza dispregiativa di “zitella”.

“Una gran figa”: la sineddoche del sesso

Anche i presunti complimenti non sono da meno. I commenti sull’aspetto fisico delle donne spesso vanno a finire sempre in questa direzione. Per dire che abbiamo conosciuto una bella ragazza, non c’è espressione più eloquente. Sullo sfondo c’è sempre l’atto o l’attrazione sessuale, come se il corpo della donna e il sesso fossero inscindibilmente legati. Sintomatico che per definire un bel ragazzo, quindi, parliamo di un “figo”, senza utilizzare l’organo maschile, ma storpiando quello femminile. Per le donne invece è molto più espressivo indicare la parte per il tutto, persino con l’intenzione di fare un complimento. La donna viene a coincidere esattamente con il suo organo sessuale e nulla di più. 

Il “cornuto” e il “figlio di puttana”

Particolare attenzione merita l’insulto maschile “cornuto”. Anche in questo caso, per insultare l’uomo, si ricorre all’offesa sulla moralità della sua compagna e sul fatto che la sua virilità sia scalfita dal non sapere “controllare” la libertà della donna. Esiste anche al genere femminile, “cornuta”, ma è di scarso utilizzo nel parlato. Diciamoci la verità: nessuno lo utilizzerebbe realisticamente nella vita quotidiana. Si insulta poi l’uomo parlando di “bastardo” o “figlio di puttana”, riferendosi alla sessualità della madre. L’uomo viene svilito nella perdita del suo ruolo di “padre-figlio-padrone”, che non sa tenere a bada gli istinti peccaminosi della donna.

In merito, lo psicoanalista argentino Ariel Arango ha offerto una spiegazione: la prostituzione della propria madre è un tabù perché rivela un’immagine di donna senza limiti sessuali, andando a scalfire l’immagine di castità e purezza che tutti hanno bisogno di mantenere della figura materna, per non violare il tabù dell’incesto.

Lo slut shaming

Insultare una donna per la sua sessualità è “slut shaming”, l’onta della sgualdrina. Punta a far provare vergogna alle donne per la loro libertà sessuale. Viene perpetrato in modo più o meno esplicito, dal definire una ragazza che ha avuto diverse relazioni una “puttana”, fino alla minimizzazione delle violenze sessuali, quando ad esempio si collega uno stupro a una minigonna. Si insegna alle ragazze che c’è una linea: possono essere oggetto del sesso, ma non possono essere soggetto. Una ragazza può essere attraente, ma deve rimanere entro certi paletti imposti dalla società e, se non lo fa, merita la condanna. Lo slut shaming è utilizzato dagli uomini e, spesso, dalle donne verso altre donne. Per Jessica Ringrose, sociologa all’University College di Londra, è un modo che le donne stesse hanno per sublimare la gelosia sessuale in una forma socialmente accettabile di critica sociale dell’espressione sessuale femminile, vista come minaccia. 

Il ruolo della consapevolezza

Riflettere sulle parolacce può sembrare un ossimoro, perché la parolaccia ha l’irrazionalità emotiva come pilastro. Una persona dà del cornuto a un altro automobilista senza pensare troppo al significato vero dell’ingiuria. Una sensibilizzazione però sul tema degli insulti al femminile, in tempi come questi, è d’obbligo. E’ vero che prima di risolvere la questione delle parolacce contro le donne forse bisognerebbe rivoluzionare a monte la concezione retrograda della donna, portata avanti per secoli. Una riflessione però su quel che diciamo e di come lo diciamo, anche irrazionalmente, può aiutarci ad acquisire consapevolezza su ciò che possiamo cambiare, prima di tutto in noi stessi e noi stesse e nel nostro modo di parlare.

Elisa Ghidini

 

 

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