Parler, il nuovo social network della destra americana pro-Trump

Parler

Nato nel 2018 e finanziato dalla miliardaria Rebekah Mercer, il social network Parler è riuscito a conquistare anche l’iscrizione di Ivanka Trump. La popolarità della piattaforma è aumentata esponenzialmente nell’ultimo anno diventando un luogo di ritrovo della destra americana, attirata dall’assoluta possibilità di “libertà di parola”.

Parler e il free spech

Ancora prima della registrazione, l’home page di Parler mette in chiaro all’utente la sua natura: “Parla liberamente ed esprimiti apertamente, senza paura di subire deplatforming per le tue opinioni”.

Questa dichiarazione assume ancora più valore in seguito alle elezioni presidenziali americane. Infatti non c’era tweet di Trump che non fosse affiancato da un banner nel quale Twitter avvertiva che poteva trattarsi di disinformazione. Le polemiche in merito non sono mancate e i supporter di Trump hanno denunciato questa limitazione della libertà di parola.

Nonostante esistesse dal 2018 negli Stati Uniti,  le elezioni del 4 novembre hanno reso Parler un caso internazionale. Infatti a novembre 2020 il social network contava 10 milioni di utenti, dei quali 3,5 guadagnati a seguito delle elezioni presidenziali. Tra i suoi utenti possiamo vedere l’ex-candidato repubblicano Ted Cruz, il presidente Bolsonaro e l’attivista di estrema destra Laura Loomer. Anche in Italia ha fatto colpo, conquistando il presentatore Nicola Porro, l’economista leghista Alberto Bagnai e il deputato leghista Claudio Borghi.

Ma in Parler è davvero presente una totale libertà di parola? Le linee guida del social network dichiarano:  “Preferiamo tenere al minimo assoluto la rimozione di membri o di contenuti da essi forniti. Preferiamo lasciare le decisioni su cosa vedere o chi ascoltare agli individui. In nessun caso Parler deciderà quale contenuto venga rimosso o filtrato sulla base delle opinioni espresse“. Il sito interviene unicamente nei casi in cui i post riguardino il compiere crimini o siano legati a organizzazioni criminali o pedopornografia.

Tra democrazia e libertà di espressione

L’esistenza di Parler e la sua somiglianza alla più famosa piattaforma di Twitter fa sorgere una domanda spontanea: è giusto limitare la libertà di espressione?

La questione ormai è diventata un dibattito pressoché quotidiano, anche in Italia. Infatti la limitazione della libertà di parola è l’accusa principale che la destra italiana rivolge nei confronti della proposta di legge contro l’omolesbobitransfobia e la discriminazione di genere.

Eppure, la domanda sembra non centrare il punto della questione. Le limitazioni di Twitter e le varie proposte di legge non colpiscono la libertà di espressione in quanto tale, ma solo quelle forme di espressione che incitano all’odio di qualsiasi genere, provocando dolore e marginalizzazione di intere categorie. Infatti non è un caso che Parler sia utilizzato dai Proud Boys, organizzazione di suprematisti bianchi americani, e dai sostenitori della teoria del complotto di Qanon per fare propaganda politica.

Navigando nell’homepage di Parler, sono frequenti i post islamofobi, razzisti e misogini. Al contrario di Twitter, Parler diventa il ritrovo dell’alt-right americana perché il free speech si trasforma in una semplice giustificazione per creare un luogo di odio, violenza e deumanizzazione. Un luogo nel quale tutto questo sia accettato, coltivato e addestrato.

Lorenzo Sangermano

 

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