Le modalità in cui un testo offre al lettore un’immagine, riuscendo a “parlare per immagini”, sono molteplici. Per esempio, molti autori descrivono minuziosamente e con trasporto emotivo situazioni oppure oggetti. La tecnica letteraria è piuttosto antica e risponde al nome di ekprasis.
Ekprasis
Questo argomento, tuttavia, non si limita solo alla letterarietà ma va ad intersecare svariate discipline, tra le quali l’arte, la storia dell’arte e la filosofia in generale, ma in particolare un suo ramo specifico: l’estetica. L’ekphrasis, infatti, nella sua definizione tradizionale, indica un momento di pausa nella narrazione nel quale il poeta o lo scrittore descrive vividamente un pezzo d’arte: nell’ambito delle letterature classiche il prototipo è la descrizione dello scudo di Achille (libro XVIII dell’Iliade). In seguito tutti gli altri autori di poesia eroica hanno inserito sezioni a forte impatto visivo: anzi, a tal punto giunge la contaminazione tra parola ed immagine che nasce, in seno allo sperimentalismo ellenistico, la poesia visiva: in questo genere, la struttura metrica e la diversa lunghezza dei versi disegnano una figura o un oggetto.
Evocare un’emozione
La definizione tradizionale, tuttavia, è estremamente riduttiva e limitante. Effettivamente, nella letteratura le descrizioni ecfrastiche interessano oggetti che non per forza sono opere d’arte, come invece vennero codificate da Leo Spitzer, che, appunto, le riteneva dettagliate esposizioni «di un’opera d’arte pittorica o scultorea». Spitzer «ha proprio inventato un genere», come sostiene Ruth Webb. A ciò si aggiunga anche il fatto che queste descrizioni non sono soltanto momenti di pausa nella narrazione ma, soprattutto nel caso del romanzo greco, hanno una funzione metapoetica ed una metanarrativa. Ad esempio, nel romanzo Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio (II secolo d.C.) l’ekphrasis di un quadro raffigurante il rapimento di Europa è una prefigurazione degli eventi della trama sia a livello narrativo che, soprattutto, emotivo: la fanciulla sarà rapita e l’amante, disperato, andrà alla sua ricerca tra mille peripezie. La visione, allora, assume la funzione di descrivere gli effetti emozionali e psicologici: l’atto del guardare, questa esperienza percettiva, mira non tanto a ciò che è raffigurato ma alla complessa fenomenologia della rappresentazione. L’immagine che ne risulta è al contempo statica e dinamica, poiché l’artista cerca di far intuire al lettore il passato ed il futuro dell’azione, una specie di correlativo oggettivo. La vicenda deve sembrare in corso di svolgimento: si mettono in comunicazione due àmbiti separati, quali il tempo e lo spazio, superando la concezione lessinghiana di arti del tempo, cioè, epica, poesia e dramma, divise dalle arti dello spazio, ovvero, pittura, scultura ed architettura. L’ekphrasis, allora, rappresenta la tensione e l’armonizzazione di due codici espressivi, quello verbale/linguistico e quello visivo: tuttavia, senza il coinvolgimento emotivo del lettore, essa rimane lettera morta, nonché un gelido e sterile virtuosismo.
Dopo tutto
«c’est ne pas parce que tout le mond voit la meme chose que la meme chose est vue par tout le monde»
(D. Wolton, Éloge du grand public. Une théorie critique de la télévision, Champs Flammarion, Parigi, 1990, p. 67).
Mario Di Pasquale