Due giorni fa, il parlamento svizzero ha approvato il divieto circa l’esposizione in pubblico di simboli nazisti. La legge era già stata approvata dal Consiglio degli Stati a dicembre. Col voto pressoché unanime anche del Consiglio nazionale, il divieto entrerà in vigore.
Il divieto nello specifico
SI arriva alla fine di un lungo percorso iniziato nel 2004 ma successivamente archiviato per poca urgenza nella risoluzione del problema e per complessità della materia: risultò difficile stilare un elenco completo di tutti i simboli. Ora il provvedimento è stato preso soprattutto per limitare le manifestazioni di appartenenza ad ideologie razziste ed antisemite in pubblico, in particolare a quella nazista.
Ora non si potranno più mostrare bandiere e altri simboli nazisti. È inoltre vietato il saluto nazista. Ma il provvedimento non è una damnatio memoriae: è vietata l’esposizione di simboli nazisti in pubblico, a meno che ciò non sia fatto durante circostanze ed in contesti che riguardano la cultura, l’educazione e la memoria, riferendosi a luoghi come cinema, scuole e musei.
Il parlamento svizzero prende posizione e non tollera più i simboli nazisti; in Italia si torna indietro
Dopo decenni di neutralità, la Svizzera sembra prendere posizione su determinati aspetti. La sua storica neutralità durante la Seconda Guerra mondiale sembra essere svanita.
Ma se, vedendo i disastri del conflitto sopra citato, il passo sopra citato sembra più che giusto, naturale e per certi versi anche scontato e tardivo; forse per principio dei vasi comunicanti, nella vicina Italia si stanno facendo passi indietro intorno all’ideologia che è andata tragicamente a braccetto col nazismo.
La scintilla antifascista si sta spegnendo nella sua stessa culla. Negli ultimi mesi, si ha avuto quasi il terrore a dichiararsi antifascisti, come se fosse un’estrema presa di posizione in controtendenza. Eppure basterebbe guardare la nostra Costituzione per capire che l’antifascismo è parte delle nostre stesse radici culturali e morali. Presupposto fondamentale sul quale la Repubblica italiana è stata fondata era proprio il divieto di ricostituzione del partito fascista. I motivi riguardavano sicuramente le idee politiche del partito, ma soprattutto si guardava ciò che il fascismo ha arrecato alla nazione ed ai suoi cittadini.
L’Italia è risorta dalle sue ceneri soprattutto grazie a delle teste pensanti che avevano sicuramente diverse opinioni su come scrivere quegli imperituri articoli nella Costituzione della nascente repubblica, ma di certo non avevano dubbi su quanto ci fosse di sbagliato in quell’aquila che insieme a quella svastica ha portato tanta sofferenza in Italia e nel mondo.
Delle parole forse dette troppo alla leggera: la libertà d’opinione non giustifica sempre
Sebbene ci siano dei valori che possono essere declinati in maniera diversa in ciascuno di noi, ce ne sono alcuni fondamentali che non possono avere varianti interpretative perché posti come colonne del nostro quieto vivere. Sin dai tempi dei romani, il mos maiorum era un insieme di leggi non scritte che tutti i cittadini conoscevano e rispettavano se volevano essere considerati parte della società. Ognuno poteva agire come meglio riteneva, purché poi fosse in grado di giustificare il proprio comportamento facendolo rientrare dentro quei canoni di vita sociale.
Invece, oggi ci si nasconde dietro la libertà d’opinione e si pretende di avere il diritto di dichiararsi fascista alla leggera. Se detta da uomini e donne che ricoprono cariche di alto profilo, una tale affermazione scardina una serie di meccanismi di fondo per il funzionamento dello Stato italiano, tali da far dubitare la compatibilità tra la veste istituzionale ricoperta e le idee politiche individuali.
I riferimenti nella Costituzione
“Le parole sono sangue” diceva Cesare Pavese. Ciò significa che quello che si dice dovrebbe essere ben pensato e poi emesso con la voce. Se in un discorso si afferma anche solo simpatia per il fascismo, chi ascolta intrepreterà il termine “fascismo” nel suo significato più abbondante includendo tutte le discriminazioni e i soprusi ad esso collegati.
Sebbene la Costituzione riporti all’articolo 21 che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, è altresì vero che nella XII disposizione transitoria e finale viene decretato che “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Bisognerebbe soffermarsi sull’espressione “sotto qualsiasi forma”: queste tre parole rendono chiaro che la ricostituzione di un partito, un’associazione o anche solo l’organizzazione di una manifestazione non è concessa. Invece attualmente sembra che ci si soffermi di più sulla transitorietà della disposizione: il partito fascista non è stato rifondato, ma forse è stato dimenticato il “terrore storico” che il fascismo dovrebbe incutere.
Insomma, il parlamento svizzero ha reso chiara l’opinione dei suoi cittadini: no ai simboli nazisti se non per memoria. Se per la Svizzera questa è una novità che potrebbe incontrare delle difficoltà nella sua implementazione, l’Italia deve solo ricordare.
Certe cose non possono essere sminuite o rivisitate né ora né mai, e come ha decretato il parlamento svizzero, le postille, i “se” e i “ma” vanno messi a priori. Una volta messi, e nel caso dell’Italia essi sono scolpiti da tempo nella Costituzione, non si può andare contro di essi perché si andrebbe contro l’essenza stessa dello Stato in cui si vive. Si farebbe uno sgambetto ad una delle gambe della nazione.