Il Parlamento italiano è in crisi

Il Parlamento italiano è in crisi

Dagli anni Novanta il Parlamento italiano è in crisi e ciò non fa bene alla vita democratica del Paese

Al tramonto della Prima Repubblica si assiste a un inesorabile indebolimento del potere legislativo. Il Parlamento, da quel momento, si dimostra sempre meno in grado di raccogliere le istanze del corpo elettorale e di influenzare la linea politica dell’esecutivo, che guadagna invece indipendenza e possibilità di azione. Montecitorio e Palazzo Madama, baluardi della rappresentatività, diventano così meri vassalli di Palazzo Chigi. A dimostrazione di questo fenomeno vi è il continuo ricorso agli strumenti a disposizione dell’esecutivo: decreti-legge e decreti legislativi.

Il Parlamento, centro dell’ordinamento italiano

Il Parlamento occupa una posizione primaria ed esclusiva nell’ordinamento della Repubblica. Emblematico, a questo proposito, lo spazio riservato a questa istituzione all’interno della Costituzione: Titolo I della Parte II (“Ordinamento della Repubblica”). Camera dei deputati e Senato della Repubblica sono i garanti della rappresentatività popolare e svolgono le loro funzioni (legislativa, di indirizzo politico, di controllo sull’operato del Governo, ispettiva) in un rapporto di fiducia e di limitazione reciproca con il Governo. Questo delicato equilibrio di poteri, cuore del paradigma democratico, non è ad oggi bilanciato così come lo intendevano i membri della Costituente: da anni infatti il timore dell’instabilità governativa ha portato la classe politica a preferire la governabilità (comunque non del tutto realizzata) alla rappresentatività, trasformando il sistema partitico da multipolare a bipolare (a cominciare dalla legge elettorale Mattarellum del 1993, che introduceva un meccanismo di voto prevalentemente maggioritario).

Il fondamentale ruolo dei partiti politici (cosiddetti “corpi intermedi”), ovvero quello di dialogo tra cittadini e istituzioni, si è inevitabilmente ridotto. I partiti di oggi sono meno “organici” rispetto al passato: a prendere le decisioni sono le segreterie nazionali, gruppi di uomini e donne di vertice che riservano per sé stessi possibilità e privilegi (si pensi, per esempio, al fenomeno delle “liste bloccate”, stilate interamente dai principali attori all’interno del partito). Frammentate e sparse sul territorio ci sono poi le articolazioni degli stessi partiti,  troppo spesso ininfluenti e inascoltate.

A mancare nel nostro sistema democratico è un’accezione “consociativa” (intesa come “certezza di rappresentanza per i diversi gruppi sociali che compongono il Paese”), in grado di rendere effettive le garanzie sociali sancite in Costituzione e di restituire fiducia al corpo elettorale.

Usi e abusi della delega legislativa e dei decreti

Con l’aumento dell’indipendenza del Governo nei confronti del Parlamento si verifica un uso massiccio degli strumenti legislativi che lo stesso esecutivo ha a disposizione. In Costituzione è espressamente dichiarato che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo  (Art. 76). Le eccezioni a questa regola possono essere di due tipi: il Parlamento può, tramite lo strumento della “delega legislativa”, conferire all’esecutivo la potestà di legiferare (per motivi tecnici o di tempistiche, spesso) solo con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo
limitato e per oggetti definiti  (Art. 76).  In questo caso il Governo emana un “decreto legislativo”. La seconda eccezione riguarda l’adozione del “decreto-legge”: in questo caso, non è necessaria una delega del Parlamento perché l’esecutivo adotta in completa autonomia il decreto, che diventa legge solo se convertito dalle Camere entro 60 giorni.  È tuttavia presente un rigido vincolo: il provvedimento deve essere adottato esclusivamente in casi straordinari di necessità e d’urgenza (Art. 77).

È proprio l’abuso di questi decreti a rappresentare una delle principali cause della crisi del potere legislativo. Da un lato, il Parlamento conferisce deleghe legislative costantemente, a proposito di numerose  materie, con indicazioni generali e criteri direttivi non precisamente definiti, e il Governo delegato ha così ampi margini di decisione e di azione. Dall’altro, il continuo ricorso alla decretazione d’urgenza (decreti-legge) non è giustificato dalle necessarie condizioni particolari di urgenza, bensì dalla semplice necessità di accelerare il procedimento legislativo e di produrre effetti normativi immediati. Così facendo, l’esecutivo tende a ingabbiare le Camere (incaricate di trasformare il decreto governativo in legge ordinaria) all’interno di tempistiche strette e a scaricare sulle stesse le proprie responsabilità politiche.

Il numero di decreti adottati nel tempo

Il decreto-legge, in particolare, nato come strumento eccezionale, è stato utilizzato sempre di più nel corso del tempo: nei primi anni della Repubblica, il ricorso al decreto era raro (4 d.l. adottati nel 1948, 6 nel 1958); tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta l’utilizzo di questa fonte aumenta (17 d.l nel 1968, 58 nel 1979); negli anni Ottanta e Novanta, soprattutto durante il periodo Berlusconi, il ricorso massiccio alla decretazione d’urgenza diviene prassi (100 d.l. sono adottati nel 1989, 259 nel 1993, 327 nel 1994, 296 nel 1995). Dall’inizio del terzo millennio ad oggi la media di decreti adottati ogni anno si attesta intorno ai 28, senza considerare la consistente decretazione adottata durante la pandemia.

Il Parlamento in crisi è un problema per l’intero sistema

Scarsa affluenza alle urne (63,9% alle ultime elezioni, il dato più basso di sempre), sfiducia nell’azione politica e generale disinteresse verso la cosa pubblica altro non sono che evidenti conseguenze di una crisi di rappresentatività. Delegittimando l’azione parlamentare, i diversi Governi succedutisi negli ultimi 30 anni hanno decisamente ridotto l’influenza del Paese legale sul law making.

Nel momento in cui sono esclusivamente gli esecutivi a dettare le linee normative del Paese e a detenere la leadership politica, il cittadino si chiede: “Perché votare se la competenza legislativa non è detenuta dai miei diretti rappresentanti?”.

 

Luca Oggionni

 

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