Metti 600 persone che girano l’Italia da Nord a Sud in una sala durante una pandemia e spera che non si ammalino. Che si ricordino le mascherine e il distanziamento. Risultato? 18 deputati positivi e Parlamento chiuso.
Negli scorsi giorni la Camera dei deputati è diventato un focolaio dell’epidemia da Coronavirus, con 18 parlamentari positivi e un’ottantina di persone in quarantena. I dati sono riportati da Linkiesta e sono, presumibilmente, sottostimati. Dal Senato, invece, ancora nessun dato, nemmeno ufficioso.
Tra le varie soluzioni, la più comoda
Soluzione? Voto a distanza, tamponi tardivi ma a tappeto? No. Montecitorio ha semplicemente deciso di sospendere tutte le votazioni previste per questa settimana. Come a dire: stiamo affondando, non chiamiamo nemmeno i soccorsi, ché tanto memento mori. L’ondata di contagi tra i parlamentari era prevedibilissima ed è una grande metafora per tutto ciò che, nel nostro Paese, non ha funzionato in questi mesi. Il provvedimento di sospensione delle attività parlamentari è, ancora una volta, un inno all’immobilismo.
O in presenza o niente
Se là fuori c’è il contagio, nel 2020, ci sono anche gli strumenti per portare avanti l’organo legislativo da remoto, svecchiando i protocolli ottocenteschi su cui si basa ancora oggi il cerimoniale parlamentare. Già il mese scorso, il Senato era stato chiuso per un giorno, dopo che due senatori grillini erano risultati positivi al tampone. La presidente Casellati, però, aveva escluso che si potesse protrarre la chiusura.
Opposizione compatta e contraria
Ce la fanno, con tutte le difficoltà, i liceali sedicenni che vengono interrogati in latino su Zoom e ce la potrebbero fare i parlamentari. E non è ideologia anticasta o demagogia populista, è semplicemente senso della realtà e consapevolezza dei mezzi e delle priorità. L’opposizione, quindi, rifiuta il voto a distanza. Poi però pretende il rinvio delle leggi a cui è contraria, come ad esempio quella sull’omofobia. Celebratori dell’Internet ma detrattori della produttività legislativa anche i Cinque Stelle, come larga parte della maggioranza. Anche il Partito Democratico, spiace dirlo, è vittima di questo stesso gioco: convertito dalla demagogia grillina dei tagli, adesso invoca ragionevolmente lo smartworking e, sommessamente, la Casaleggio Associati risponde: “No, grazie”.
Chi di populismo ferisce
Quindi: da una parte i parlamentari chiedono alle aziende di applicare lo smart working, ma poi lo rifiutano per loro stessi. Temono forse che le persone dicano che, lavorando da casa, gli onorevoli non lavorano? E allora, tagliamo la testa al toro: non lavoriamo per davvero.
Anzi, a dire il vero, il quadro è completo e coerente, a un mese dal referendum sul taglio dei parlamentari. Visto che si possono tagliare a piacimento e in modo scriteriato, a questo punto chiudiamo baracca e burattini e legittimiamo la decretomania del Governo.
Elisa Ghidini