La società italiana è costruita e fonda le sue certezze su un pilastro apparentemente inaffondabile: la famiglia. Che sia del Nord, del Sud, del Centro, multiculturale, allargata, o tutte queste cose insieme: la famiglia è la famiglia. Si dice.
Il momento di celebrazione (e sbandieramento) dei valori familiari per eccellenza è il Natale. Mettendo per un attimo da parte i sentimenti davvero sinceri che, per carità, a Natale vengono fuori eccome, non dimentichiamoci che, tra una portata e l’altra, dietro un ramo di pino, una pallina colorata, si cela spesso qualcosa che di sentimentale ha ben poco.
Natale è certamente amore, affetti, stare insieme. Natale però è anche, diciamocelo, una sorta di teatrino improvvisato. Una girandola fatta di finti sorrisi, frecciatine, auguri forzati, regali inutili.
Angosce, convenzioni e aspettative che si stratificano e pesano sempre di più, come la lasagna della nonna sullo stomaco il 25 Dicembre sera.
Da “Tanti auguri a te e famiglia“, a “Grazie, mi serviva proprio“, “Se non ci vediamo più, auguri“, “A messa a Natale bisogna andare, altrimenti che figura si fa?”, “Dai un bacio alla zia di quarto grado”, sappiamo tutti di cosa stiamo parlando.
C’è un certo cinema, come solo un eccellente regista come Mario Monicelli è stato in grado di fare, che non ha certo esitato a metterle in scena tutte, queste ipocrisie.
Il suo “Parenti serpenti” del 1992 è infatti l’esemplificazione del compendio di convenzioni sociali che investono la società italiana tutto l’anno. Le stesse che nel periodo natalizio vengono fuori…con il botto!
Il termine scelto non è certo un caso, ma ha tristemente a che fare con la trama del film, di cui svelerò solo pochi particolari.
Una tipica famiglia medio-borghese si riunisce per la celebrazione del Natale a Sulmona, un piccolo paese abruzzese di provincia. Qui vive un’anziana coppia, che offre la propria ospitalità ai figli e nipoti per le Feste. Le tavolate, la tombola, i regali, le portate esagerate, la messa di mezzanotte: c’è tutto e apparentemente tutto sembra procedere con la normalità che ci si aspetta.
Gli occhi del nipote, ancora troppo piccolo per partecipare al gioco delle “belle apparenze“, sono i narratori di questa storia, nella quale l’ironia fa da conduttrice. Tutti sembrano in armonia, ma dietro i sorrisi ci sono bagagli di rancori, nervosismi e giudizi. Parenti serpenti, dunque.
Oltre agli addobbi di Natale in casa fanno da cornice pensieri che nessuno inizialmente ha davvero il coraggio di ammettere o che esprime goffamente, mettendo in scena uno spettacolo tragicomico.
Le maschere della “famiglia che festeggia felice” cadono però clamorosamente quando si prospetta l’incombenza di prendersi la responsabilità dei genitori. Quest’ultimi esprimono il desiderio e la necessità di vivere con uno dei figli. Da qui, si procede per uno sgretolamento graduale, con finale cult e parecchio amaro.
Certo, la famiglia messa in scena da Monicelli forse è un’esagerazione ma, come tutte le situazioni grottesche, ha l’utilità di farci riflettere sui limiti delle forzature sociali, che impongono una partecipazione collettiva alla quale forse, se non si sente davvero l’esigenza, sarebbe meglio sottrarsi.
Ventidue anni dopo “Parenti serpenti”, esce al cinema un film che riporta sugli schermi le feste natalizie viste come un’occasione di disagi, situazioni limite, ansie, confronti/scontri socio-culturali. Sto parlando di “Ogni maledetto Natale” di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo.
La protagonista è sempre lei, la famiglia. Viene messo in scena il tipico incontro con le famiglie dei rispettivi componenti di una coppia, che a Natale spesso si incontrano per la prima volta. L’occasione è una bomba a orologeria pronta a turbare l’equilibrio precario di due giovani che si sono appena conosciuti.
Non dimenticherei di citare anche “Il peggior Natale della mia vita” di Alessandro Genovesi, che ha come protagonista Fabio De Luigi. Il titolo è eloquente, le situazione ritratte sono frutto di equivoci che generano conseguenze ad altissima tensione. L’ansia del protagonista di dover “fare bella figura“, soprattutto in una situazione dalle alte aspettative di perfezione come il Natale, genera situazioni grottesche ed esilaranti.
Lo stile narrativo è sicuramente diverso in tutti e tre i film. Ognuno ha però il pregio di fa emergere, senza troppi sconti o buonismi, la tensione degli incontri famigliari che si consumano tipicamente a Natale e il loro potenziale distruttivo.
Emerge inoltre la volontà di mettere finalmente, sul tavolo dei grandi cenoni, le angosce di una società italiana, che arranca nel tentativo di festeggiare e mantenere alti determinati valori, ai quali però spesso si fa fatica a tener fede.
Comunque, alla fine, i regali si scartano e le luci si spengono. Chi ha sentimenti sinceri viene fuori, così come emergono i rapporti solidi e reali. Ce lo insegna bene “Parenti Serpenti” di Monicelli, che smonta e fa letteralmente scoppiare le vere intenzioni che si celano dietro ogni finto sorriso.
Il Natale è come uno specchio. L’incontro condizionato con l’altro si trasforma alla fine in un incontro con noi stessi e le nostre fragilità più nascoste.
Dunque festeggiamo pure con gioia nei nostri vestiti rossi, le luci sull’albero e i sorrisi stampati sul volto.
In alto i calici: Buon Natale!
Claudia Volonterio