Gianluigi Paragone per chi lo conosce poco, o lo ha facilmente dimenticato, ha il curriculum del populista perfetto. Prima di gettarsi in politica ha lavorato come giornalista. Ha iniziato dirigendo La Padania, il giornale della Lega Nord, per poi passare alla vicedirezione di Libero e poi di Rai 2. Si è avvicinato al Movimento 5 Stelle solo di recente, nel 2017, per portare avanti la battaglia contro i vaccini obbligatori dato che in quell’anno usciva il Decreto Lorenzin.
La brillante carriera nel Movimento è finita quando Paragone ha scelto di non votare la fiducia al Conte II e di bocciare la legge bilancio del 2020. I pentastellati lo hanno espulso per aver tradito le posizioni prese dal Movimento, e lui ha continuato una sua carriera indipendente fino ad oggi.
Le sue posizioni sono molto simili a quelle dei gilet arancioni di Pappalardo: contro l’euro, contro i vaccini e contro la casta. Vale a dire le stesse del Movimento delle origini, quello di Beppe Grillo e del vaffaday, che ha poi finito per istituzionalizzarsi ed abbandonare le sue frange più estreme, come appunto Paragone. Ora che però un certo spirito popolare di cieco malumore è tornato a riempire le piazze, Paragone fonda un suo partito.
Quello di Paragone sarà con ogni probabilità l’ennesimo partito anti-casta che strizza l’occhio a superstizioni e complotti, si riempe le tasche di capri espiatori e inquina il dibattito democratico. Perché gli italiani dovrebbero credergli? Perché molti italiani credono a Pappalardo?
La storia d’amore tra italiani e populismo
Il populismo come lo intendiamo oggi non è una tendenza che la politica ha scoperto qualche anno fa, anzi. In particolare, la storia italiana è piena di partiti e movimenti populisti. Per rifarci alla sola fase repubblicana, possiamo citare come punto di partenza il Fronte dell’Uomo qualunque. Si trattava prima di un movimento e poi di un partito, nato negli anni ’40 a Roma, e guidato da un commediografo e giornalista di nome Guglielmo Giannini.
Da lì in poi i partiti che hanno sostenuto l’idea per cui il lavoro politico è un lavoro qualunque, che quindi può essere fatto da gente qualunque dicendo cose qualunque, quasi non si contano più. Il successo di questa idea, che riesce a raccogliere il sempre eterno malumore verso i privilegi della classe dirigente, ha infatti finito per influenzare e cambiare anche quelle forze che erano parte integrante della casta corrotta.
Molto spesso la trasformazione non ha portato ad una ripulita della classe politica, ma ad una rivoluzione della figura del leader. Così è nata la Lega di Salvini: da una forza politica che rappresentava le peggiori caratteristiche della Prima Repubblica è nato un partito antisistema e vicino alle istanze popolari.
Dall’Uomo qualunque in poi infatti il panorama partitico italiano si è contraddistinto per una corsa continua ad essere il più vicini possibile al sentimento popolare, rilanciandolo e banalizzandolo, quindi senza analizzarne le cause e senza essere in grado di proporre delle vere strategie. Una gara a chi è più arrabbiato. Al punto che andare al governo, e quindi fare effettivamente la politica, è diventato controproducente per tutti in termini di sostegno elettorale. Spesso si scopre infatti che nonostante ci fossero delle idee chiarissime su cosa non andasse bene, non si capisce comunque come andrebbe meglio.
Paragone fonda un suo partito per peggiorare una situazione già compromessa
Con una nuova forza istituzionale spera di far da contraltare al Movimento nella sua lotta contro tutto e tutti. Proponendo uscita dall’euro, vaccini solo facoltativi, generiche riforme delle istituzioni, spera di guadagnarsi quella fetta di elettorato che Di Maio ha perso e che Pappalardo sembra aver precotto per bene. Ma ci serve davvero l’ennesimo partito populista?
Marika Moreschi