Paolo Triestino, “Il parroco che vorrei”

Paolo Triestino

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Domani alle 17:30 l’ultimo appuntamento con Grisù, Giuseppe e Maria al Teatro Marconi. Paolo Triestino racconta

Definito da Paolo Triestino come “un miracolo”, Grisù, Giuseppe e Maria ha raggiunto 400 repliche. Uno tra gli spettacoli italiani dalle più numerose messe in scena. In una simpatica chiacchierata, Paolo ha risposto molto cordialmente alle domande di Ultima Voce.

Prima di ogni cosa Paolo, perché venire a vedere Grisù, Giuseppe e Maria?

“Grisù, Giuseppe e Maria è uno spettacolo poetico, testimone di un teatro mai volgare e capace di divertire. È quel tipo di teatro fatto con amore e passione, è attuale. Grisù, Giuseppe e Maria è uno sguardo affettuoso a un’Italia che non c’è più, l’Italia degli anni ’50 fatta di viaggi infiniti e di valige di cartone. È dare uno sguardo a un’Italia ormai dimenticata. Ricorda la tragedia di Marcinelle causata dal grisù. Nella miniera c’erano molti italiani che lavoravano per 12 ore al giorno. Nonostante ciò si aveva fiducia nel futuro. Bisogna vedere Grisù, Giuseppe e Maria per rendere omaggio a una scrittura sapiente”.

Chi è Don Ciro e che ruolo ha nella vicenda? Cosa ha Paolo del parroco?

“Don Ciro è il parroco che vorrei e che tutti vorremmo, sempre pronto ad ascoltare. L’ho immaginato come un vecchio burbero ma buono, ligio alle regole ma che allo stesso tempo le trasgredisce per fare del bene. Intorno a me, alla figura del parroco, nello spettacolo ruota tutta la vicenda. Tutto l’intreccio è legata a questa figura che è sempre in scena. Credo che Paolo abbia di Don Ciro la generosità, ma bisognerebbe sentir parlare gli altri. In realtà siamo molto distanti, ma il compito dell’attore è proprio questo, scovare l’emozione giusta”.

Paolo, quali consigli senti di dare ai giovani attori emergenti?

“C’è poco da fare, occorre che ci sia impegno totale. Oggi c’è molta concorrenza in questo campo ma i giovani hanno due grandi possibilità oggi. La prima è quella del web per farsi conoscere e la seconda è quella dei mezzi a disposizione che sono fondamentali. Oggi basta un cellulare per girare un cortometraggio e ci sono molti concorsi a cui poter partecipare. Quando ero ragazzo tutto questo era impensabile. Il consiglio che sento di dare è di realizzare le proprie idee, di non sedersi mai, di avere rabbia e determinazione per andare avanti, avere curiosità, viaggiare molto e imparare lingue diverse. Bisogna essere delle spugne e mai sentirsi arrivati. Avere autostima ma mai presunzione. Essere perseveranti”.

Oggi si può vivere di palcoscenico?

“Oggi è più complicato. Ieri si lavorava per 7-8 mesi, con un compenso dignitoso. Oggi devi saper fare tutto, recitare Shakespeare ma saper anche parlare il dialetto. Bisogna essere umili per farcela. L’umiltà è la virtù dei grandi uomini”.

Nascendo ai giorni d’oggi rifaresti comunque tutto questo?

“È una domanda a cui davvero non so rispondere. Io volevo diventare giornalista sportivo, non volevo fare l’attore. La vita è tutta un caso, un incontro”.

La simpatia e la sincerità di un uomo di palcoscenico.

Maria Giovanna Campagna

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