Un’ostinata carriera da “autodidatta”
Paolo Sorrentino nasce il 31 maggio 1970 a Napoli. A 16 anni rimane orfano di entrambi i genitori, coinvolti in un incidente con il gas nella loro casa in campagna, mentre lui aveva finalmente ottenuto il permesso di andare a vedere Maradona invece che trascorrere lì il week-and: “A me Maradona ha salvato la vita”.
Scrittore di otto lungometraggi e due stagioni televisive, Sorrentino è vincitore di innumerevoli premi, tra cui quattro European Film Awards, un Premio BAFTA, cinque David di Donatello, otto Nastri d’argento e l’Oscar nel 2014 per il miglior film straniero con La grande bellezza.
Nonostante il suo stile unico e inconfondibile potrebbe far pensare il contrario, Paolo Sorrentino è un autodidatta della sceneggiatura e della regia, infatti all’università ha studiato Economia e Commercio, studi che non rinnega neanche dopo aver intrapreso una carriera molto distante da quel mondo, anzi:
Lo studio dell’Economia è stato utile, i manuali di Economia sono solitamente testi ben scritti, originali, ho sempre avuto la sensazione che siano più utili dei manuali di Lettere e Filosofia […]
Quelli che scrivono di economia avrebbero spesso voluto creare romanzi e non ce l’hanno fatta, però usano uno stile pomposo e ieratico che è utile alla sceneggiatura.
Dotato all’inizio esclusivamente della sua grande dote di osservatore, muove i suoi primi passi dalle basi, dai cortometraggi, come il primissimo “Un Paradiso“, che Sorrentino non hai mai ritenuto la sua forma, ma che sono stati un ottimo allenamento e un modo per farsi conoscere. È così che nascono L’uomo in più (2001) e il sodalizio con l’attore Toni Servillo.
Lo stretto rapporto tra biografia e opera
Un’esperienza così forte come la perdita di entrambi i genitori a 16 anni, non può che segnare le pellicole del regista. Sorrentino connota tutti i suoi personaggi, seppur in una produzione molto variegata, di una nota di solitudine, di senso di perdita e di paura, ed proprio questa nota che gli permette di raccontare fatti conosciuti, come in Loro o ne Il divo, attraverso una prospettiva nuova, diversa. Possiamo parlare di “una colonna sonora sottesa a tutti i suoi film”.
Forse questo legame tra biografia personale e opera può essere inteso al meglio attraverso la serie The Young Pope, dove leggiamo tra le righe anche la sua educazione presso i Salesiani e quanto il mondo clericale gli sia rimasto impresso.
Essere orfani vuol dire non avere un’autorità, quindi essere predisposti ai vizi, ecco perché il mio papa, orfano anche lui, fuma.
Tutto questo ha contribuito a creare il suo stile dissacrante, lento, ironico, ma anche profondamente sentimentale, sentimentale quasi in modo inopportuno, stile che non sembra appartenere a un uomo di soli cinquant’anni.
Francesca Santoro