L’Italia, si sa, è sempre stata una delle nazioni leader nel ciclismo; basti pensare ai nomi leggendari di Costante Girardengo, Fausto Coppi, Gino Bartali e Felice Gimondi, o anche solo ai contemporanei Fabio Aru e Vincenzo Nibali. Tra tutti i grandi, però, ce n’è uno che svetta in alto, ce n’è uno che oltre le vittorie è riuscito a conquistare milioni di italiani, c’è Marco Pantani.
Questo racconto parte dalla fine, dall’orrenda fine del pirata, come veniva chiamato Pantani per via della bandana che portava quando correva. È il 14 febbraio 2004, e nella stanza di un residence di Rimini giace, immobile e inanime, il corpo del ciclista. La sua morte lascia sgomenta tutta l’Italia, che si interroga sul motivo che ha spinto uno degli sportivi più famosi del dopoguerra a suicidarsi in quel modo, ingerendo tutta quella cocaina.
Ma non siamo qui a parlare di tutte le vicende giudiziarie che hanno portato all’ipotesi concreta dell’omicidio. Oggi vogliamo parlare del Marco Pantani ciclista capace di imprese epiche, del Marco Pantani che per un anno è stato probabilmente il più grande di tutti.
È il 1998 e Marco Pantani è chiamato a dimostrare di essere un vincente e non un grande perdente. Negli anni precedenti, infatti, aveva ottenuto numerosi piazzamenti di prestigio nelle principali corse a tappe, nonostante nel 1995 avesse subito la rottura di tibia e perone a seguito di un brutto incidente stradale.
Quell’anno Marco dichiarò più volte di essere in forma e di puntare deciso alla vittoria del Giro D’Italia. La gara però non parte bene, visto che le prime tappe sono vedono i successi di Alex Zulle e di Pavel Tonkov. È a quel punto che Marco entra nella storia, e lo fa entrando dalla porta principale: staccando tutti sulle montagne, suo terreno naturale. Selva di Val Gardena, Alpe di Pampeago, Plan di Montecampione. È in questi luoghi che Marco costruisce la sua leggenda, i luoghi in cui stacca tutti, dove si dimostra superiore. La maglia rosa è sua e la terrà cucita addosso fino alle fine, fino a Milano, fino alla vittoria.
La sua prima vittoria al giro, però, non placa la fame del ciclista romagnolo, che dopo un paio di settimane si presenta ai nastri di partenza del Tour De France da grande favorito. La stanchezza, però, si fa sentire, e dopo sole 10 tappe Pantani ha ben 5 minuti di ritardo da Ullrich.
Ma quando tutto sembrava finito, e l’ennesima sconfitta era dietro l’angolo, accadde il miracolo. Nella tappa più dura di tutte, quella della scalata al mitico monte Galibier, Pantani scappa in una leggendaria fuga di oltre 50 km, dando oltre 9 minuti al rivale tagliando trionfalmente il traguardo alle Deux Alpes. Il tour è suo; 33 anni dopo Gimondi il tricolore italiano sventola oltre le Alpi.
Pantani è il re del mondo; nessuno scala le montagne come lui e il 1999 si appresta ad essere la fotocopia del precedente, con Marco deciso a puntare il bis nella corsa italiana.
Il giro, infatti, parte alla grande, e sulle montagne crea il vuoto con il suo diretto rivale, Paolo Savoldelli, che scivola ad oltre 5 minuti di distacco.
Quando il bis sembrava ormai sicuro, però, succede l’inimmaginabile. È il 5 giugno e verso le 10 del mattino vennero resi pubblici dei test nei quali Pantani risultò positivo al doping.
Tutto ciò che è seguito a tale evento sembra essere uno di quelli che non vorresti mai fare. Marco cade in depressione, escono diverse indagini giudiziarie che fanno pensare ad un complotto e poi quella dannata mattina a Rimini, il corpo di Marco, le indagini e quella continua ricerca, da parte della famiglia, della verità sul chi o cosa ha ucciso veramente Marco.
Qualunque sia la verità, Marco non è morto, non è morto il suo spirito. Ogni anno, per celebrare le sue immense doti di scalatore, l’organizzazione del Giro dedica a lui la tappa dove si percorre la montagna più dura e impervia, la “Montagna Pantani”; questo riconoscimento, prima di lui, era stato conferito solamente a Fausto Coppi, con “La Cima Coppi”, il punto più alto del giro, e sta a significare quanto tutti si siano resi conto dell’importanza che ha avuto Pantani nella storia del ciclismo italiano.
La verità sulla fine del pirata, dopo anni di depistaggi e menzogne, sta venendo finalmente a galla; questo è stato possibile grazie all’instancabile lavoro di famiglia e amici che non volevano che Marco fosse ricordato come un drogato, ma per il campione che è stato, unico e inimitabile.
Beh, direi missione compiuta. Ciao Marco.
Francesco Merendino