Il presidente di Panama, Laurentino Cortizo, ha recentemente dichiarato che chiederà al Tribunale del Popolo, attraverso lo strumento del referendum, se abrogare o meno una legge che permette le concessioni minerarie ad un’impresa canadese. A fronte delle numerose manifestazioni di piazza contro il “contratto miniero”, represse duramente, il Presidente ha deciso di fissare il voto referendario al 17 dicembre 2023. Sarà quindi il popolo a decretare la sopravvivenza o la morte dello sfruttamento minerario sul suolo panamense nel nome dei grandi interessi economici.
L’ottobre caldo di Panama contro lo sfruttamento minerario
Il fenomeno delle proteste di Panama contro lo sfruttamento minerario hanno travolto totalmente l’intero stato, in seguito all’approvazione della legge 406, ratificata lo scorso 20 ottobre. Come anche hanno sostenuto dai membri di sindacati e organizzazioni studentesche, questa è una legge ingiusta e illegittima, poiché, con il progetto di sfruttamento minerario, si pone in antinomia con le norme di protezione dell’ambiente. Il clima ha raggiunto il suo acme la scorsa settimana, quando nelle manifestazioni di piazza ci sono state dure violenze da parte delle forze dell’ordine. Molti sono stati gli arresti e gli abusi fisici. Martedì 24 ottobre, il presidente Cortizo ha condannato, in un annuncio pubblico, i comportamenti “estremi ed anarchici” che minano la pubblica sicurezza.
Il presidente ha poi pubblicato un secondo video messaggio, vacillando sulla sua posizione. Proprio per prendere la giusta decisione, ha deciso di tradurre la legge alla consultazione popolare che vedrà il suo verdetto il 17 dicembre 2023. Cortizo ha quindi deciso di aprire, negli ultimi giorni, il dialogo con il popolo panamense riguardo la legge 406 del contratto minerario e degli interessi della First Quantum Minerals, l’azienda canadese che possiede le concessioni. In caso di abrogazione, il presidente annullerà la norma dell’attività mineraria a livello nazionale.
Tutti i dubbi sulla legge 406
La storia legislativa della norma 406 è un intreccio di rapporti e accordi mai conclusi e molto problematici. Già nel marzo scorso il governo e First Quantum avevano raggiunto l’accordo sulla nuova concessione, successivamente dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema panamense. Già da tempo, le associazioni di interesse e le opposizioni avevano creato una fitta resistenza proprio contro lo sfruttamento della più grande miniera a cielo aperto dell’America Centrale. La legge, ratificata dall’esecutivo e dal parlamento, prevede una durata di venti anni di collaborazione, che possono essere rinnovati per ulteriori venti.
Un altro motivo del forte dissenso è che la legge 406 è fortemente lesiva per l’ambiente, la salute delle persone e della fauna. Se da un lato infatti le concessioni portano allo Stato di Panama un’entrata di circa 375 milioni di dollari, di cui 161 da investire nei settori pubblici, dall’altro lato il progetto non è sicuro per garantire la sicurezza e la sanità ambientale. Il ruolo del governo in carica è infatti molto problematico, in quanto al centro di numerosi conflitti di interessi. Panama ha un grande disavanzo pubblico e il progetto contribuirebbe al 4,8% del PIL nazionale, con un’offerta di 40.000 posti di lavoro nei settori della multinazionale.
Un altro importante dubbio che affligge la popolazione è che il testo di legge è stato adottato in soli tre giorni. Attivisti e curiosi non hanno potuto inoltre leggere il testo costituzionale poiché non risultava tra le pubblicazioni. Il motivo delle proteste è infatti anche quello di un mancato coinvolgimento e una previa consultazione del Parlamento nei confronti del popolo, ledendo quindi il principio democratico del Paese. La preoccupazione maggiore però riguarda l’impatto ambientale che ha già l’enorme miniera a cielo aperto. Il popolo di Panama contro lo sfruttamento minerario racconta una lunga lotta che va avanti dal 1997, cioè da quando la miniera è attiva. Secondo le previsioni, le acque potrebbero essere facilmente contaminate e alto è il rischio di devastazione geografica e storica dell’ambiente circostante.
Il fattore più preoccupante: la questione ambientale
La miniera a cielo aperto si trova a 120 chilometri a ovest dalla capitale Panama City e 20 chilometri dalla costa caraibica. La miniera si trova nella provincia di Colòn, un’area protetta e dichiarata patrimonio storico e dell’ambiente. La mobilitazione di Panama contro lo sfruttamento minerario ha origine proprio quando il primo iter legislativo della legge 406 era stato dichiarato incostituzionale proprio per l’alta probabilità di lesioni gravi all’ambiente. Il territorio panamense infatti, protetto dalla legge 287, gode di diritti e garanzie al pari di quelli degli esseri umani.
Flora e fauna hanno il diritto di esistere, procrearsi e preservare la propria integrità. Panama è uno dei territorio più ricchi dell’America Centrale in quanto raccoglie nel suo ecosistema più di diecimila specie tra piante e animali. Già dai dati del 2020, si può notare una drastica riduzione di animali e dell’estensione delle foreste. Secondo il Global Forest Watch, negli ultimi venti anni sono stati persi circa il 3% dell’area forestale di Panama.
La legge 287, emanata il 24 febbraio 2022, riconosce alla natura il diritto all’esistenza in una comunità che la rispetti. L’applicazione della legge ha costituito un importante passo in avanti poiché, come anche si è visto in questi giorni, ha avuto la funzione di proteggere l’ambiente dallo sfruttamento. Come Panama, molti altri governi sudamericani hanno compreso l’importanza di queste garanzie e si sono mobilitati contro gli interessi delle grandi multinazionali.
La normativa 287 prevede 18 articoli in cui si parla del diritto all’integrità territoriale e il diritto al ripristino in caso di danneggiamento da parte dell’uomo. Menziona anche le comunità indigene, riconosciute come parte integrante dell’habitat, anch’esse fortemente minacciate dai governi centro e sudamericani. Nella declinazione che oggi le si può attribuire, questa legge ha l’obiettivo di operare un importante ripristino. Sono infatti molti i danni già attuati a cui bisogna trovare una soluzione.
Una questione ancora aperta
Il grido dei manifestanti che recita “Questa patria non si vende ma si difende” ancora non si è acquietato. Una ribellione in atto che non si vedeva da anni e che è riuscita, finalmente, a modificare le aspirazioni del Presidente Laurentino Cortizo. A Panama City, la capitale, ci sono state mobilitazioni che hanno raggiunto più di 50.000 partecipanti. Dopo aver visto la portata della questione e la forte resistenza delle piazze panamensi, Cortizo ha sospeso – come dichiarato da lui stesso – non solo l’attuale progetto, ma anche tutti quelli futuri che riguardano l’estrattivismo minerario.
Gli attivisti per l’ambiente, nonostante questo dialogo, hanno fortemente accusato il governo di interessarsi dei soli guadagni privati e aumentare così la disuguaglianza sociale. La voce più importante e dirompente è quella dell’Alianza Pueblo Unido, una realtà che unisce associazioni, sindacati e studenti. L’Alianza accusa il governo di finanziamento al clientelismo, un problema molto noto nei governi del centro e sud America. Il popolo di Panama contro lo sfruttamento minerario rimane quindi un punto saldo: non può infatti rappresentare, in alcun modo, il presupposto per una società migliore, più avanzata e sana. Un altro aspetto preoccupante sono infatti le dimensioni: la miniera si estende per 12.000 ettari e ha la capacità produttiva di circa 300.000 tonnellate di rame all’anno.
È più importante l’interesse del bene comune o dei privati?
Il governo di Cortizo, in carica dal 2019 con il Partito Rivoluzionario Democratico, è oggi potenzialmente indagato per oltraggio al patrimonio storico e devastazione ambientale. Sono infatti sei le indagini aperte, ma ancora non concluse, che presto identificheranno i responsabili e i complici. Nonostante ciò, c’è chi ancora sostiene fortemente di aprire l’attività mineraria per aumentare il patrimonio pubblico. Roberto Cuevas, il presidente della Camera Mineraria di Panama, vorrebbe portare avanti i rapporti con la First Quantum. Forti sono gli interessi economici legati a Panama e al suo canale, un punto geopolitico molto strategico per gli scambi commerciali transnazionali. L’apertura di una miniera rappresenterebbe un ricavo enorme per il commercio marittimo, ad oggi in profonda crisi per il livello di siccità.
Intanto la voce di Panama contro lo sfruttamento minerario è chiara e forte. Una chiusura senza condizioni dei rapporti di lavoro e commercio con le multinazionali, nel nome del benessere ambientale. Il grido delle piazze contro la “vendita di Panama” è sempre più forte e continuerà fino al prossimo dicembre, quando il tribunale del popolo deciderà le sorti di un’importante spicchio di mondo.
Decidere tra bene comune e interesse privato, un dilemma che affligge ormai la politica mondiale. A Panama, come a Taranto, il prevalere degli interessi economici di pochi si contrappone ai diritti di molti, usando come arma dirompente la difesa dell’occupazione e la necessità di ripianare bilanci pubblici di Stati che con politiche scellerate hanno o3mai devastato economie meno ambiziose ma più sane e più giuste.
L’articolo ci pone difronte ad un caso molto diffuso nel mondo industrializzato, e ci informa di come i popoli possano comunque intervenire per modificare processi che sembrano non avere altra possibilità di esito.
Sarà interessante seguire la vicenda, in attesa del 17 dicembre prossimo, augurandoci che prevarrà l’interesse alla salute e alla difesa dell’ambiente, senza se e senza ma. Nel mondo intero. Grazie Lucrezia Agliani.
Articolo molto interessante, che descrive dettagliatamente la battaglia dei Panamensi contro il colonialismo industriale.
Economia e interessi privati si contrappongono, come troppo spesso accade, all’interesse collettivo alla salute e alla salvaguardia dell’ambiente.
Le proteste sono servite a focalizzare l’attenzione della politica locale ed a invertire una gerarchia dei valori che spesso è incurante dei principi e dei sentimenti dell’uomo.
Auspichiamo un esito positivo di questo referendum, che potrebbe rappresentare un faro per il resto del mondo.