Oggi in Palestina ricorre la Giornata della Terra. Il 30 marzo 1976 sei arabi israeliani furono uccisi dai soldati israeliani nel corso di una protesta contro l’espropriazione di alcuni terreni arabi nel nord del Paese. Da allora, ogni anno migliaia di persone manifestano per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, marciando verso il confine con Israele. Come ogni anno, quella prevista per la giornata di oggi è solo la prima di una serie di manifestazioni che dureranno fino al 15 maggio, festa dell’indipendenza di Israele e giorno della “Nakba” (la Catastrofe) per i palestinesi. In questo periodo, ogni venerdì è previsto un corteo lungo il confine per quella che viene chiamata la grande marcia del ritorno.
Le reazioni di Israele
Dal canto suo Israele ha annunciato severe misure repressive. 100 cecchini sono stati schierati lungo il confine, con l’ordine di sparare a chiunque provi a oltrepassarlo. Le Autorità israeliane avvisano, inoltre, che revocheranno i permessi di ingresso alle compagnie di trasporto che porteranno i manifestanti in loco. Risentono del clima teso anche i cristiani di Gaza, una comunità che conta circa un migliaio di persone. Le 600 richieste di permesso per la partecipazione alle festività pasquali a Gerusalemme sono state tutte rigettate. E già si conta la prima vittima: vicino a Khan Yunis, a sud di Gaza, Omar Wahid Samur, un contadino di 27 anni, ha perso la vita sotto i colpi israeliani.
La terra sottratta
La questione della terra sottratta è una delle cause principali dei contrasti tra israeliani e palestinesi. Dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948 la Palestina, infatti, non ha fatto che ridursi. Ciò che non è stato conquistato, è stato colonizzato o occupato militarmente. E ciò che non è stato colonizzato o occupato militarmente è stato confiscato per ragioni di sicurezza. Il risultato è che attualmente i palestinesi vivono su una porzione di terra che rappresenta circa 1/10 della Palestina storica, ossia poco più della metà dei Territori Occupati del 1967. Su questa Israele compie quotidianamente demolizioni e sgomberi che riguardano abitazioni private e altri edifici. Talvolta interi villaggi. Nel suo Rapporto Annuale Amnesty International riferisce di un villaggio demolito 116 volte. I suoi abitanti sono stati anche beffati dalla condanna a versare nelle casse di Israele la somma equivalente a 100.000 dollari americani per coprire i costi della demolizione.
Aggiornamento:
In serata è salito a sedici il numero dei morti, mentre sarebbero oltre 1000 i feriti. Tutti palestinesi e tutti colpiti dall’esercito israeliano. La più giovane delle vittime si chiamava Ahmad Ibrahim Odeh e aveva solo 16 anni. La sua colpa sarebbe stata l’essersi avvicinato troppo alla barriera di separazione. Tanto basta all’esercito israeliano per spegnere delle vite.
Michela Alfano
non potete considerarlo uno scontro! in quanto i civili palestinesi DISARMATI erano li per protestare l’occupazione illegale delle proprie terre da parte dei FASCISTI SIONISTI, i terroristi dell’IDF hanno utilizzato proietti veri ferendo 500 persone ed uccidendone 7, NON È UNO SCONTRO È UN MASSACRO! quanto ancora l’ONU l’UE dovrà tollerare questa barbaria dello stato sionista!?
RIPETO È STATO APERTO IL FUOCO CON PROIETTILI VERI SU DONNE E BAMBINI INERMI!
Non colgo il senso del suo commento con riferimento all’articolo: dove si parlerebbe di scontro?