Palestina: ucciso il 14enne Mohammed Shehaden

Palestina

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Palestina. Martedì 22 Febbraio. L’esercito regolare israeliano uccide un altro ragazzo, Mohammed Shehaden. Le notizie sono poche e discordanti.

Il contesto

Palestina. Siamo nel villaggio di Al-Khader, vicino alla città di Betlemme, nella parte meridionale della West Bank o più nota Cisgiordania.
Siamo in quell’area, senza sbocco sul mare, che, assieme alla striscia di Gaza, fa parte dei territori palestinesi.
Ci troviamo in una regione che la stessa comunità internazionale ritiene riservata ai residenti palestinesi  e che vede la presenza israeliana come una forza di occupazione.

A Gaza e nella West Bank, purtroppo ancora divisa tra aree sotto il controllo politico-amministrativo palestinese e aree sotto quello israeliano, la situazione conosce momenti di falsa tranquillità e periodi di grande tensione ormai da tantissimo tempo.

Israele accusa Hamas di essere il responsabile di qualsiasi cosa accade, di tutte le sue risposte militari, spesso provocanti morti e feriti soprattutto tra i civili.

La Palestina porta avanti una guerriglia da anni attraverso la sua organizzazione politica e paramilitare (Hamas) e diverse forme di attivismo per difendere ciò che rimane dei suoi territori e ricordare al mondo la sua esistenza.

L’ultimo episodio di violenza

Il Ministro della Salute palestinese ha dichiarato che nella notte del 22 Febbraio, nel villaggio di Al-Khader, il giovane 14enne Mohammed Shehaden è stato ucciso dall’esercito israeliano.

Mohammed Shehaden, 14, was killed by Israeli forces’ gunfire in Al-Khader

L’attivista palestinese Ahmad Salah ha raccontato che alcuni soldati israeliani avrebbero aperto il fuoco ferendo Shehaden ed avrebbero poi impedito ad un’ambulanza di raggiungere la vittima.
Il giovane, assieme ad altri compagni, era probabilmente intento a lanciare pietre contro i mezzi delle truppe israeliane, che avevano fatto irruzione nella città.

A detta dell’attivista e di altre persone ascoltate, questi, anche se fosse stato occupato a scagliare non sassi, ma ordigni esplosivi, non sarebbe stato abbastanza vicino alla linea di confine. A quel muro che divide le zone di controllo e pertanto non avrebbe potuto rappresentare un pericolo.

Diversi i video che inoltre mostrerebbero come Mohammed Shehaden, accasciatosi dopo il ferimento, fosse nei pressi di un cortile di una casa e lontano dal muro.

La versione di Israele sull’assassinio di Mohammad Shehaden

Diversa la versione israeliana, ma difficile nascondere l’ennesimo cadavere.

La mattina successiva al tragico episodio Israele ha riconosciuto l’assassinio.
I militari hanno dichiarato che ormai da giorni tre sospettati palestinesi, tra i quali anche Shehaden, stessero tendendo diverse imboscate alle loro truppe, impegnate a controllare un’importante arteria del traffico locale, la Route 60.

Le truppe si sarebbero quindi trovate, la sera del 22,  in quella zona esclusivamente per ragioni di supervisione, quando il giovane Mohammed Shehaden si sarebbe avvicinato alla linea difensiva e avrebbe cominciato a lanciare delle molotov.
L’esercito avrebbe così aperto il fuoco, ma subito dopo avrebbe prestato i primi aiuti e permesso l’intervento dei soccorsi.

Escalation di violenza in Palestina

Quanto descritto, purtroppo, non ha destato grande attenzione nella cronaca italiana ed europea; al massimo qualche trafiletto.
Del resto, siamo abituati a ricevere notizie da quei territori relative a morte, bombardamenti e distruzione.

In Cisgiordania nelle ultime due settimane è stato registrato un esponenziale aumento degli scontri, sempre più violenti.
Per citare alcuni episodi: il 18 Febbraio, durante una rappresaglia a Jenin, tre palestinesi sono rimasti gravemente feriti.
Il 15 Febbraio nel villaggio di Nabi Saleh è stato ucciso dalle truppe israeliane il 20enne Nidal al-Barghuti.
Il 14 Febbraio, sempre a Jenin, è morto, a causa di colpi di arma da fuoco, il 17enne Mohammed Abu Salah.

E così a continuare. Cambiano i nomi, gli anni, ma i morti sono sempre in quell’area e sono tutti, o quasi, palestinesi.
Eppure da una parte c’è un regolare esercito e dall’altra una realtà spesso tacciata di terrorismo.

Ora, tornando all’assassinio di Mohammad Shehaden, i nostri occhi non erano lì, non eravamo presenti.
Possiamo quindi anche pensare che il giovane 14enne stesse lanciando non delle pietre, ma una e più molotov.
Possiamo credere che fosse non a cento, ma a dieci metri dal muro.
Magari anche immaginare, e sarebbe davvero molto difficile, che se ci venisse tolto qualcosa, una casa, una terra, la dignità, rimarremo fermi a guardare.

Ma non possiamo definirci uomini degni, umani con umanità, se rimaniamo impassibili al cospetto della morte di un civile, di un ragazzino caduto per mano di un esercito.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Deborah Natale

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