Di Adriano Ercolani
Chi Paga?, commedia scritta e diretta da Stefano Longobardi, recentemente in scena al Teatro Hamlet del Pigneto a Roma, è una rappresentazione gradevole in grado, talvolta, di mescolare il registro leggero e quello tragico senza eccessivi strappi.
La trama è semplice, ma nasconde intrecci interessanti:
Bartolo è un clown in bancarotta, figura dolcissima e malinconica, che vive nello sprezzo delle preoccupazioni mondane, sorretto nella sua indigenza da una vocazione artistica vissuta come una missione e una
lunare saggezza di vita.
Conforto e strazio dei suoi giorni è la memoria della moglie scomparsa prematuramente, con la quale intrattiene quotidiani dialoghi interiori, tra complicità e confessione. Una condizione disperante per la figlia Sistina, così chiamata in onore del nonno Sisto, anch’egli noto clown, la quale mal sopporta l’idealismo irresponsabile del padre. A completare il quadro di una bizzarra quotidianità bohémien, l’amica vicina di casa, la sensuale e folle Anatoliya, ex ballerina del Boschoi letteralmente fulminata durante un’esibizione, sorta di vestale adorante del poetico clown fallito.
L’imprevisto è dietro l’angolo:
Un giorno, grazie a un banale incidente pratico, Bartolo improvvisa uno spettacolo sulle banchine della metro, inducendo così un giovane,
tormentato da disordini ossessivo-conpulsivi, a rinunciare ai suoi intenti suicidi.
Tutto bene quel che finisce bene? Al contrario, inizia la tragedia, poiché la Morte, sotto le spoglie di un esattore cinico e beffardo viene a riscuotere proprio da Bartolo il debito della vita salvata, che ha così turbato gli equilibri della contabilità cosmica.
Lo spettacolo si snoda in due parti ben distinte:
Il primo atto scorre leggero e divertente, grazie a dei tempi comici ben collaudati, soprattutto da parte di Luca Laviano, spassoso nei
panni gelidi della Morte, e di Mara Sabbioni, convincente nella caricatura della ballerina classica russa. Il protagonista è interpretato da Tiziano Ferracci con disinvoltura e una certa grazia, non solo accompagnando i tempi comici con discrezione ma anche giocando decentemente le
parti più difficili, come i monologhi/dialoghi, potenzialmente strappalacrime, con la moglie defunta, offerti invece dall’attore con intelligente garbo.
I problemi semmai giungono nel secondo tempo, dove l’interessante svolta narrativa è gestita prima in maniera accorta con l’ingresso di Federico Antonucci (il ragazzo “salvato” dall’esibizione di Bartolo), in una scena che ben concilia la facile gag della ripetizione compulsiva dei gesti con l’esplosione drammatica della malattia, ma poi induce ad un uso un po’ troppo emotivo delle musiche.
Avremmo preferito che la rappresentazione dei sentimenti più profondi e nobili (il sacrificio, l’amore paterno e filiale, la compassione) venisse affida al pudore dell’implicito piuttosto che sbandierati in scene mute ma a nostro gusto forzate e didascaliche dal punto di vista
mimico e musicale.
Nel finale escono anche le qualità versatili di Francesco Guglielmi, lo stagista della Morte, all’inizio confinato nel ruolo ben interpretato di spalla comica, in grado poi di sostenere degnamente battute non facili dal punto di vista della credibilità (tutto è sospeso su due piani completamente mescolati).
La scenografia è molto scarna ma funzionale, la regia funziona bene nelle scene comiche, meno nel finale dalla solennità troppo urlata, la sceneggiatura offre battute brillanti ma è forse sbrigativa nella chiusura di alcuni archi narrativi.
In conclusione, uno spettacolo non perfetto ma certo non inferiore a quello offerto da grandi produzioni spesso dall’esito deludente su palchi prestigiosi, in grado di far ridere in maniera facile ma anche di affrontare tematiche delicate con un approccio non banale.
Non appare affatto il nome della protagonista femminile di quest’opera,Flavia De Luca nei panni di Sistina che a mio parere ha avuto un ruolo chiave interpretato magistralmente,direi che non citarla neppure nell’articolo sia stata,spero, una mancanza o una dimenticanza poiché sorvolare così a piè pari su una figura principale sarebbe una brutta scivolata.
Cordiali saluti