Johan Galtung (Oslo, 24 ottobre 1930 – Bærum, 17 febbraio 2024) è uno dei fondatori degli studi sulla pace. È intervenuto come mediatore in più di 150 conflitti tra stati, nazioni, religioni, civiltà e comunità. Nel 2008 ha fondato la TRANSCEND University Press ed è fondatore della TRANSCEND Peace University, la prima università online di studi sulla pace al mondo. È anche il fondatore di TRANSCEND International, una rete globale senza scopo di lucro per la pace, lo sviluppo e l’ambiente, fondata nel 1993. È grazie a lui se gli studi sulla pace vengono oggi insegnati e ricercati nelle università di tutto il mondo e contribuiscono agli sforzi di pacificazione nei conflitti mondiali.
Ci sono due episodi che Galtung amava raccontare per spiegare la scintilla che lo portò a dedicare tutta la sua vita alla ricerca della pace. Uno fu il padre internato durante la Seconda Guerra Mondiale e la paura, notte dopo notte, che venisse ucciso. Poi a vent’anni quando in due diverse biblioteche chiese di leggere libri di studi sulla pace, ma non trovarono nulla. Galtung aveva un padre che gli aveva sempre detto di non limitarsi a seguire quello che si deve fare, ma di essere consapevole di tutto ciò che avrebbe fatto. Decise che sarebbe stato lui a battere questa nuova strada. E così fece. Nel 1959 ha fondato il Peace Research Institute Oslo e nel 1964 il Journal of peace research.
La pace positiva
Nel suo primo editoriale teorizza con chiarezza la sua fondamentale distinzione tra pace negativa e pace positiva: la pace non è solo assenza di guerra, ma costruzione di società giuste e prive di violenza. Per Galtung:
«L’opposto della pace è la violenza, non la guerra».
Dove c’è violenza c’è un conflitto non risolto, ovvero un’incompatibilità di scopi tra due o più soggetti, che siano persone o stati. Se non trovi una soluzione sei condannato a vivere con questo conflitto e quindi una frustrazione per tutta la vita, bisogna sforzarsi per trovare soluzioni. È dalla frustrazione reiterata che scaturiscono aggressione e violenza.
«Se non riuscite a rimuovere un conflitto, perché non modificare il vostro modo di pensare rispetto a esso? Perché non cercare e vedere il conflitto come il sale della vita, il grande produttore di energia, il rompicapo, il creatore di illusioni, piuttosto che come un insopportabile fastidio? Tutti noi sappiamo che è proprio durante i momenti della nostra vita in cui siamo esposti a un conflitto che realmente ci pone una sfida, e che infine siamo in grado di controllare, che ci sentiamo più vivi». (Galtung, Conflict as a Way of Life, 1968)
Il metodo Transcend
Appurato quindi che il conflitto è parte e destino dell’essere umano si può scegliere se vedere il conflitto come distruttivo o creativo. Si può trascendere, ovvero andare oltre. Negli anni Galtung ha creato un vero e proprio manuale per gli operatori di pace, un metodo in grado di trasformare il veleno di violenza e sopraffazione in un’opportunità di cambiamento:
«Il che significa fare molto di più che allontanare il conflitto dalla violenza. C’è in più il guidarlo verso lo sviluppo, sia lo sviluppo umano degli attori individuali in esso coinvolti, sia lo sviluppo sociale degli attori collettivi, sia lo sviluppo globale. Coloro che intervengono in un conflitto dovrebbero avere obiettivi ambiziosi, come una Iugoslavia migliore, pace e sviluppo in Medio Oriente, riduzione della miseria in Perù, ecc».
Il dialogo
Lo strumento principale del metodo Transcend è il dialogo. Il dialogo non deve avvenire come nei negoziati, con gli attori seduti tutti allo stesso tavolo. L’operatore di pace incontra prima l’uno, poi l’altro. Li ascolta. La regola fondamentale è la concentrazione, ascoltare attentamente la voce dell’altro e le voci interiori nel Sé. Gli attori devono sentirsi liberi di parlare, senza che ci sia la controparte che vuole metterli all’angolo e dimostrare che sono in errore. Bisogna fare domande, chiedere cosa sognano per il futuro, cercare scopi condivisi. È importante mappare il conflitto, capire le motivazioni, gli obiettivi dei vari attori e il contesto. Il metodo Transcend insiste sull’importanza di comprendere se gli scopi sono legittimi o contravvengono i diritti umani, i quali non sono mai negoziabili. Bisogna creare ponti. Il metodo Transcend entra nel dettaglio anche sul linguaggio del corpo o sulle soluzioni da adottare nei momenti di stress. Non si critica, non si moralizza, ma si propongono soluzioni creative, non bisogna avere paura di farlo e nemmeno aspettarsi gratificazioni. L’operatore di pace è anche chiamato da Galtung uomo del forse, the Maybe man, propone, fa domande, ipotesi. Le caratteristiche essenziali per un operatore di pace sono:
- EMPATIA
- NONVIOLENZA
- CREATIVITA’
In un’intervista Galtung accenna a un esempio positivo di una sua mediazione:
«Ecuador e Perù combattevano dal 1941 in una zona di circa 500 chilometri quadrati sulle Ande. Circa 54 anni dopo, nel 1995, l’ex presidente dell’Ecuador mi chiese di trovare una soluzione sui confini “stiamo combattendo. Abbiamo avuto quattro guerre. Abbiamo sacrificato la vita di molti giovani.” La mia proposta, dopo aver capito l’incompatibilità tra i due stati che consideravano quella zona come la propria, fu: “Eccellenza, cosa ne pensate di non tracciare affatto un confine? Ma amministrare il territorio conteso come una soluzione a due Stati con un parco naturale?” Il presidente mi rispose che nessuno mai in trent’anni gli aveva proposto una cosa del genere. Ebbene, hanno fatto meglio di così, hanno creato una zona economica congiunta nel 1998, quasi tre anni dopo che avevo avanzato quella proposta. Oggi è una zona florida e la maggior parte delle persone ha persino dimenticato le guerre. Quindi è una questione di creatività e di proporre qualcosa di nuovo. Ecco perché lo chiamiamo Transcend, andare oltre».
La violenza per Galtung può essere anche vista come una mancanza di creatività.
I tre tipi di violenza
Per Galtung ci sono tre tipi di violenza:
- DIRETTA che è intenzionale, danneggia e ferisce
- STRUTTURALE che è indiretta. È repressione (potere politico), sfruttamento (potere economico) e alienazione (potere culturale)
- CULTURALE è la cultura che giustifica la guerra, la tortura, l’uccisione
«L’intensità della violenza dipende dal livello di violenza culturale: la violenza è glorificata? Le alternative nonviolente sono rese invisibili? La cultura diventa un magazzino di ferite profonde, affondate nella memoria collettiva e nell’anima della gente, ferite che vengono usate per travisare ogni cosa e persona, piuttosto che per cercare nuovi approcci».
Bisogna uscire dalla logica binaria della guerra che prevede solo la sconfitta o la vittoria di una parte sull’altra. La violenza diretta serve da segnale troppo tardivo della presenza di violenza strutturale e culturale. È qui che Galtung insiste sull’importanza di educare alla pace e del giornalismo di pace.
«Le notizie e l’informazione stanno alla società come l’ossigeno sta al corpo. Per superare la dipendenza patologica dalle notizie negative e polarizzanti nel giornalismo attuale, dobbiamo formare un numero crescente di giornalisti pacifisti. Abbiamo bisogno di giornalisti di pace che diano informazioni sugli effetti invisibili delle guerre, sulla formazione conflittuale sottostante, sulle radici del conflitto, sulle tante persone di buona volontà all’interno e all’esterno dell’arena conflittuale che lottano per porre fine alla violenza e per una trasformazione del conflitto, che cerchino alternative alla violenza, che riferiscano le idee che emergono».
La consapevolezza dell’interdipendenza dei fenomeni trasformerà il mondo
Nell’approfondire il patrimonio di studi che ci ha lasciato Galtung l’aspetto più affascinante è la conoscenza accumulata nella sua vita sulle culture e società del mondo, proprio dal punto di vista delle relazioni umani e dei limiti e delle possibilità insite in ogni cultura di intrecciarsi a un’altra e creare qualcosa di nuovo e solidale. Nel 1989 Galtung scrisse un libro dal titolo Israele/Palestina: una soluzione nonviolenta? dove suggeriva, oltre a riconoscere lo stato di Palestina, la creazione di una Comunità del Medio Oriente, come fu fatto in Europa con il Trattato di Roma del 1958. Sono tante le predizioni di Galtung che si sono avverate, già nel 2012 parlava di sociocidio che Israele stava perpetuando sulla Palestina e riconosceva nella società israeliana una spirale di violenza e isolamento dalla comunità internazionale che andava fermata. Inoltre narrava della profonda solidarietà tra esseri umani che è insista nella cultura islamica, aspetto invece che manca all’Occidente e che probabilmente causerà la sua stessa rovina. Galtung sottolinea più volte la necessità dell’Occidente di liberarsi dei suoi aspetti oscuri come ipocrisia e individualismo, come nel suo articolo su Gandhi e Mandela.
«Sabona è il saluto degli Zulu: ti vedo, ti assumo come parte di me (e io di te). Esisto perché tu esisti. Ben diverso dallo spigoloso individualismo dell’Occidente che separa e cataloga anche gli individui in buoni e cattivi, e le loro azioni in giuste e sbagliate».
Nel 1995 Galtung incontrò il filosofo e leader buddista Daisaku Ikeda. Dal loro dialogo nacque un libro Choose peace, in cui i due cercarono di approfondire come il cuore delle persone concorra a modellare le società esistenti. Da Ikeda e dalla filosofia buddista Galtung trasse l’insegnamento dell’interdipendenza dei fenomeni, della non dualità di vita e morte, io e ambiente, bene e male. L’opposizione dualistica di bene e male porta a facili risposte e trascura le complesse interazioni psicologiche in atto nel dialogo, non permette di scandagliare la verità delle cose dice Ikeda:
«Per liberare l’umanità moderna, e non solo gli europei, dalla maledizione di questi atteggiamenti dobbiamo renderci conto che il male fa parte degli esseri umani. Dobbiamo diventare profondamente consapevoli che il male interiore è la causa primaria e che il male esteriore è solo un effetto». (Choose peace, Ikeda, Galtung 1995)
Diffondere globalmente la comprensione e la verità di questa interdipendenza ci permetterà di rompere le barriere discriminatorie. Possiamo farlo partendo da noi.