Autoriparante e biocompatibile, l’osso bionico è stato brevettato all’Università di Milano Bicocca.
Mettete pure da parte i pennarelli con cui avreste firmato la gamba rotta del vostro migliore amico. La ricerca italiana ha centrato un importante e rivoluzionario obiettivo che potrebbe mandare in pensione gesso e chiodi in caso di frattura, l’osso bionico che si stampa in 3D. Grazie alla sinergia con il team dell’Imperial College di Londra, guidato da Julian Jones e col quale collabora anche l’italiana Francesca Tallia, è stato possibile sintetizzare nuovi materiali ibridi, capaci di riparare il tessuto osseo e cartilagineo danneggiato da traumi. Questi materiali sono stati ottenuti utilizzando una base inorganica come il silicio unito a speciali polimeri.
Da anni si cercava di ottenere un sostituto osseo con le stesse caratteristiche dell’osso umano. Il risultato è stato sorprendente, un mix che ha le stesse caratteristiche della cartilagine: flessibile ma resistente, organico e biocompatibile e soprattutto in grado di auto ripararsi in caso di fratture o scheggiature. Non solo, anche riparare un menisco sarà più semplice, così come ricostruire il tessuto cartilagineo nei dischi vertebrali. Come? Stampando un supporto in 3D da inserire dove c’è il danno. La frattura sarà praticamente riempita da un sostegno biocompatibile, che aiuta nel processo di guarigione consentendo alle cellule naturali di completare il loro processo rigenerativo.
Le caratteristiche dell’osso bionico sono assolutamente modulabili, basta cambiare le proporzioni di componenti organiche e inorganiche. Per questo, si scommette già che l’ambito di applicazione più diffusa sarà comunque quello della medicina rigenerativa. La possibilità di essere stampato in 3D e la capacità di auto rigenerarsi sono le caratteristiche che fanno pensare ad una possibile applicazione anche in ambito industriale e tecnologico.
Nulla di astratto al riguardo: pensate al vostro smartphone, che magari si sarà scheggiato o ha lo schermo rotto. Immaginate quello schermo protetto da questo bio materiale che si spezza e si ricompone alla perfezione, senza bisogno di colla o altro materiale adesivo. “Oltre agli schermi per smartphone, si potrebbe pensare a farne pellicole protettive per automobili, un involucro antigraffio con cui difendere la carrozzeria”, ha specificato Laura Cipolla, docente di Chimica organica dell’università di Milano Bicocca e coordinatrice del team di ricerca.
“Il bio-vetro, il materiale inorganico punto di partenza da cui deriva la progettazione dei nuovi materiali ibridi, veniva già utilizzato durante la guerra del Vietnam per guarire le fratture dei veterani – spiega Julian Jones, docente di Biomaterials all’Imperial College -. La nostra ricerca dimostra che il nuovo materiale sviluppato pone le basi di partenza per lo sviluppo di nuove strategie di cura”.
C’è, tuttavia, ancora molta strada da fare e sarà necessario diverso tempo e uno sviluppo approfondito delle ricerche prima che questa tecnologia possa essere applicata nell’uomo.
Alessandra Maria