Un libro inchiesta, quello di Paolo Barnard, Angus Dalgleish e Steven Quay, edito da Chiarelettere e pubblicato col titolo “L’origine del virus. Le verità tenute nascoste che hanno ucciso milioni di persone”. Un giornalista, un professore di oncologia al St Georges Hospital Medical School London e un ricercatore medico, farmacologo e scienziato di fama internazionale. Un’inchiesta che tenta di mettere in luce quegli aspetti tenuti nascosti e sottaciuti dall’inizio della pandemia Covid-19.
Di cosa parla “L’origine del virus”
Tre autori coordinati su un unico volume con struttura tripartita (una parte per ciascun autore) che riporta anche opinioni, interventi e impressioni di altri ricercatori accademici, sviluppatesi lungo la pandemia, con l’intento di svelare alcuni retroscena legati alla Covid-19.
L’intento del volume è quello di dimostrare, mediante argomentazioni teoriche e fattuali, che ai virologi di Wuhan e ai politici cinesi erano già note le informazioni biologiche del SARS-CoV-2 (causa della Covid-19), sin da prima dell’inizio della pandemia. A detta degli autori, anche qualcun altro, stavolta in Occidente, era a conoscenza dei fatti, in quanto seguiva da tempo i lavori a Wuhan. Ciò che è sconcertante è che, con molta probabilità, tutti questi contagi e queste vittime, si sarebbero potuti evitare.
I retroscena nella struttura biologica del virus
Il nucleo intorno al quale vengono costruite le argomentazioni è principalmente quello per il quale il Sars-CoV-2 sia un prodotto di laboratorio e non di origine naturale; quest’ultima, una versione che si è prepotentemente instaurata, per alcuni conflitti di interesse, ma che ora è di nuovo dibattuta.
Le argomentazioni addotte sono molteplici, e nel libro vengono ben argomentate, ma sono principalmente tre. Primo, non ci sono prove di trasmissione diretta o mediata del virus da un animale all’uomo. Secondo, il virus presenta delle anomalie evoluzionistiche e biologiche inspiegabili sotto un profilo naturale. Terzo, non ci sono spiegazioni legate alla fauna del perché proprio Wuhan sia stato l’ipocentro della pandemia.
Quelle che ho semplicemente enunciate, nel libro vengono spiegate nel dettaglio, soprattutto sotto l’aspetto biologico. Di particolare rilevanza, sembrano infatti la presenza del patogenico Furin Cleavage Site (assente in quella classe di microbi) così come “la forte e anomala carica di segno positivo della sua chiave proteina Spike”. Queste due caratteristiche donano al SARS-CoV-2 una virulenza micidiale.
Ciò sembrerebbe far pensare, con molta plausibilità, che il SARS-CoV-2 sia stato un prodotto di tecniche di Guadagno di Funzione (Gain of Function), utilizzate in alcuni laboratori di virologia per potenziare la virulenza e studiare in anticipo, per precauzioni future, l’evoluzione di virus letali per l’uomo.
La presenza anomala nel SARS-CoV-2 di alcuni codoni istruttori, triplette che codificano gli amminoacidi, risulta in pieno accordo con le tecniche di Gain of Function.
Risulta anomala anche l’evoluzione epidemica: la presenza di un unico paziente zero in grado di trasmettere il virus con il medesimo patrimonio genetico in tutti gli altri individui pazienti. In una vera zoonosi, ciò risulterebbe diverso: vi sarebbero diverse sequenze geniche “cugine” e non “gemelle” in diversi “pazienti zero”, risultato di un progressivo adattamento da parte del virus nell’infettare l’essere umano.
I retroscena nella reticenza della comunità scientifica
Un ulteriore nucleo attorno al quale ruota il volume è quello per il quale i virologi del Wuhan Institute of Virology, in particolare la soprannominata “Batwoman” Zheng-Li Shi, l’esercito militare cinese, che controllava l’Istituto, e il governo cinese, sapessero perfettamente cosa stava accadendo. La Cina, non solo avrebbe tirato su una cortina di ferro, non condividendo le informazioni di cui era in possesso, ma avrebbe anche comunicato informazioni parziali e fuorvianti.
Un menzognare, favorito non solo dal fatto che la Cina parrebbe avere forte influenza (attraverso ingenti finanziamenti) nelle pubblicazioni scientifiche accademiche. Ma anche da strani rapporti di interesse con alcuni personaggi occidentali, come Peter Daszak, presidente della ONG EcoHealth Alliance di New York. Così come dalle trame politiche anti-trumpiste, che portarono a un politically-correct, tacciando di complottismo chiunque avesse avanzato l’ipotesi che il SARS-CoV-2 provenisse da un laboratorio di Wuhan.
Una trasparenza immediata alle origini della pandemia, avrebbe evitato tutto ciò. Attraverso una chiusura immediata delle frontiere, e permettendo una facile e veloce individuazione del virus. Le cui informazioni furono cancellate, a detta dell’autore, da Zheng-Li Shi dai database del laboratorio.
Un’unanimità non così unanime
Praticamente fin dall’inizio della pandemia si instaurò forte e dirompente un consenso unanime della comunità scientifica sull’origine del virus: il covid aveva origine naturale (zoonosi). Gli scienziati avanzarono numerose ipotesi, tutte però implausibili e non confermabili con delle prove. Prove che tuttora mancano, mentre si consolidano quelle contrarie, cioè quelle che sostengono l’artificialità del virus. Un virus che, considerando la sua struttura genomica (1200 nucleotidi non combacianti con il virus-antenato), avrebbe saltato di 50 anni evolutivi, invece dei soli sette che lo distanzierebbero dal RATG13 (il ceppo dal quale si pensa abbia tratto origine naturale).
Crescenti richieste di chiarimento e indagine sull’origine del SARS-CoV-2 stanno avanzando da parte della comunità scientifica. Di neanche un mese fa una lettera aperta sul The Lancet, per capire la vera origine del virus.
Un appello alla chiarezza e alla cessazione della Gain of Function
Il libro si inserisce lungo la volontà di aprire e comprendere, sotto maggior chiarezza, quanto accaduto nella pandemia da Covid-19. Ma soprattutto, si pone preoccupato nei confronti di queste tecniche di Gain of Function, all’ordine del giorno in molteplici laboratori sparsi per il mondo. E i motivi per tale preoccupazione sono principalmente due. Innanzitutto perché quello che è accaduto nel 2019 potrebbe riaccadere con alta probabilità. Gli autori mostrano episodi e dati storici e statistici che evincono la pericolosità e la frequenza degli errori umani in questi laboratori. Secondo poi, perché la probabilità di incontrare in futuro, per via naturale, questi virus prodotti artificialmente è drasticamente bassa. E, pertanto, il gioco non varrebbe la candela.