Il caso Orban ha messo in luce nuovamente le contraddizioni dell’Unione Europea, che ad oggi sembra essere ancora incerta delle misure da adottare nei confronti del Primo Ministro ungherese. Una domanda sorge spontanea: fino a che punto possiamo giustificare la limitazione e la soppressione delle libertà per proteggere la salute delle persone?
La diffusione del coronavirus ha da subito rivelato le debolezze e le incrinature del sistema Europa, nel far fronte all’epidemia.
La condizione di panico generalizzato, in cui nessuno Stato può assicurare la totale protezione e assistenza ai propri cittadini e la mancata o dove osservata tardiva coordinazione fra gli Stati Membri, hanno permesso lo sfruttamento dell’istinto più primitivo dell’uomo, la paura.
Questa angoscia provocata dall’indefinitezza e dall’onnipresenza del nemico “invisibile”, si rivela amaramente un’alleata potente per alcuni esponenti dello scenario politico.
Una situazione eccezionale
In Europa, differenti governi hanno deciso di utilizzare misure straordinarie per far fronte alla diffusione dei contagi. Francia, Regno Unito, la stessa Italia hanno dotato il governo di poteri eccezionali provvisori.
Tuttavia, la concessione dei pieni poteri senza limiti temporali al Primo Ministro ungherese, di cui si è diffusamente discusso negli ultimi giorni assumono anche in questo contesto una valenza diversa.
La “svolta autoritaria”, l’ultimo atto di un continuum illiberale che Orbán persegue dal lontano 2010, che ha subito un’accelerazione date le attuali condizioni di emergenza , è stata una dimostrazione esemplare di come utilizzare lo strumento della paura per piegare le istituzioni democratiche a proprio piacimento.
Innumerevoli sono state le accuse di deriva dittatoriale, a cui il Primo Ministro ungherese ha replicato in maniera piuttosto decisa, presentandola come un atto di protezione nazionale.
La concessione dei pieni poteri in Ungheria
Budapest ci ha tenuto ad informare che i pieni poteri possono essere ritirati dall’Országház (ricordiamo che il partito di Viktor Orbán, Fidesz detiene 133 seggi su 199) in ogni momento e ha chiarito che hanno il solo scopo di contenere la pandemia in una situazione in cui l’Europa ha mostrato ancora le sue debolezze.
Ovviamente, nessuno crede davvero a questa storiella, né vi è alcuna illusione che le misure saranno ritirate una volta tornati alla normalità. Sarebbe ridicolo confidare ancora su questo genere di rassicurazioni dopo l’esperienza delle misure straordinarie varate durante la crisi migratoria del 2016 e ancora in vigore, data la ormai completa penetrazione del partito nell’apparato amministrativo e burocratico e il controllo quasi totalitario dei mezzi di informazione .
La mancanza di risposte concrete
Lo scorso venerdì, il giorno dopo il voto del parlamento Ungherese, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in merito all’accaduto, ha diffuso una nota sottolineando la sua preoccupazione e chiedendo che le misure adottate dall’Ungheria siano “limitate al necessario, proporzionate e soggette a controllo”.
Di fatto, evitando di indicare misure concrete contro le violazioni di Orbán ed ammettendo l’incapacità di agire in un momento di difficoltà come questo.
Ad oggi, l’unica contromisura reale sembra la richiesta di espulsione del partito di Orbán, Fidesz, da parte dei membri del Partito Popolare Europeo.
In una lettera indirizzata al presidente del Ppe Donald Tusk, datata 02 Aprile, tredici esponenti di partiti, tra cui tristemente non è possibile annoverare alcun italiano, hanno richiesto l’espulsione di Fidesz in base all’art.9 dello statuto.
Le politiche attuali di Orban e del suo partito, secondo gli esponenti firmatari, non risultano in linea con “l’integrità” dei valori politici del Ppe.
Le reazioni in Italia
Differenti sono state le reazioni degli esponenti italiani appartenenti al Ppe: mentre Silvio Berlusconi si appiglia debolmente alla “democratica” votazione che ha portato al conferimento dei pieni poteri come valida giustificazione, il duo Salvini-Meloni strizza l’occhiolino ad Orbán, pregustando già la sua uscita dai Popolari Europei, speranzosi di poter andar ad ingrossare le fila di un nuovo partito di nazionalisti.
Probabilmente alcuni potrebbero considerare superfluo l’allarmismo sulla questione Orbán in un momento di crisi totale, in cui i sistemi sanitari collassano e l’economia subisce una stoccata come non si era mai vista.
Potrebbe risultare comprensibile ai più perché per l’Europa l’espulsione dell’Ungheria possa non essere una priorità.
D’altronde sarebbe decisamente inappropriato mettere sul piatto della bilancia la vita delle persone, la salute mondiale, con l’integrità di valori.
Ma alcune domande sorgono spontanee in questo caso.
Conclusa la pandemia, quale vita, quale futuro ci aspettano se assistiamo inermi alla demolizione giustificata degli organismi democratici?
Siamo davvero disposti a rinunciare al sistema Europa? E in tal caso, siamo davvero convinti che i nostri stati possano sopravvivere ad una ricostruzione successiva senza cooperazione ed aiuti?
Il periodo buio che stiamo attraversando non è che l’ultimo di una lunga serie che l’Europa si è trovato ad affrontare nel corso dell’ultimo secolo. Un secolo in cui più volte la paura ha portato alla rinuncia dei valori liberali in nome di maggiore protezione e sicurezza, spianando il terreno all’ascesa di autoritarismi.
In questo momento più che mai, l’Europa deve agire, senza scuse né esitazioni. L’inerzia fa perdere credibilità e con essa si finisce per mettere in discussione i valori di cui lei stessa si fa protettrice.
Bisogna ricordare che l’angoscia, la precarietà che tutti noi ci troviamo a vivere, si cura anche grazie a pilastri solidi su cui appoggiarsi.
Arianna Pepponi