Dopo essersi spezzato in due, l’iceberg più grande del mondo sta andando a collidere con la Georgia del Sud. La collisione potrebbe distruggere l’ecosistema sottomarino, ma non solo. Se con la sua enorme massa bloccasse l’accesso al plancton, colonie di pinguini non avrebbero più cibo. Per questo i ricercatori del BAS predispongono l’operazione iceberg per l’11 gennaio.
L’operazione iceberg vedrà decine di scienziati e ricercatori tentare di sventare un disastro ecologico. A-68A (questo è il nome dell’iceberg) è più grande del Lussemburgo. Nel 2017 si è staccato dalla Penisola Antartica e ha iniziato a spostarsi verso la Georgia del Sud. E, negli ultimi mesi del 2020, vi si è avvicinato pericolosamente.
Fino a quando, pochi giorni fa, potenti correnti oceaniche l’hanno spezzato in due.
Lo staccarsi di questo enorme pezzo di ghiaccio dalla penisola è molto simile al fenomeno della fratturazione idraulica. E ovviamente la causa è la stessa dello scioglimento dei ghiacciai.
Tutto questo ci conduce a un viaggio verso quello che non vediamo del surriscaldamento globale.
La dinamica di accelerazione e rottura
Nel 2017 A-68A si è staccato dall’Antartide e ha preso a vagare lentamente nell’Oceano seguendo una rotta. Il gigante di 2.400 Km quadrati ha preso a correre più velocemente. Le correnti lo hanno spinto verso il sud dell’isola.
Il 18 dicembre scorso, la corrente lo ha fatto ruotare di quasi 180° e lo ha spezzato. Come se una macchina in corsa avesse svoltato alzando il freno a mano.
Il secondo iceberg ha già un nome: A-68D.
La spaccatura sembrava portare il gigante su un’altra rotta. Ma non sembra che il cambiamento di direzione comprometterà l’esito.
A-68A è, infatti, adesso a circa 50 Km dalla costa occidentale della Georgia del Sud.
Qual è il disastro annunciato?
Prima di tutto, l’iceberg potrebbe distruggere l’ecosistema dei fondali marini. Molluschi, crostacei, spugne e altre forme di vita verrebbero spazzate via implacabilmente. L’iceberg rilascerebbe, inoltre, acqua ghiacciata che, raffreddando l’ambiente sottomarino, non permetterebbe alla vita di continuare.
Senza contare che la piattaforma che circonda la Georgia è piena di fitoplancton e krill di cui si cibano tante specie marine. Per esempio, i fitoplancton e il krill sono la principale fonte di nutrimento di pinguini, foche e balene.
L’iceberg rilascerebbe poi tantissima acqua dolce che renderebbe difficile per le specie continuare a trovare il cibo. E oltre a questo, potrebbe incagliarsi proprio dove il krill si trova in grandi quantità, senza dar modo ai pinguini di arrivarci.
E, infine, se constatiamo che le balene sarebbero comunque in grado di trovare altre fonti di alimentazione, per foche e pinguini andrebbe diversamente. Intere colonie di pinguini e foche sarebbero costrette a migrare rischiando di non trovare come vivere.
L’operazione iceberg per salvare i pinguini
La missione sul gigantesco blocco di ghiaccio inizierà l’11 gennaio. I ricercatori del British Antarctic Survey (BAS) voleranno verso le Falkland. Dopo un periodo di quarantena, si imbarcheranno sulla rotta di A-68A.
La missione è necessaria e urgente perché:
Se l’iceberg dovesse incagliarsi, gli effetti dureranno per dieci anni. E sarà un problema enorme
Ha detto l’oceanografo biologico, Geraint Tarling.
All’arrivo della nave sull’iceberg, gli scienziati butteranno le reti e raccoglieranno e studieranno gli animali nell’acqua intorno ad A-68A. Due alianti, sottomarini robotici, misureranno la temperatura, la salinità e i livelli di fitoplancton. Questo processo continuerà per quattro mesi in modo da permettere agli scienziati di crearsi un quadro preciso.
Comunque sia, non c’è modo di fermare i due giganti. Non c’è modo di sapere a che velocità procedono. Né si può sapere se a un certo punto prenderanno un’altra strada. La speranza è che il monolite di ghiaccio possa incontrare altre correnti, ma è improbabile. Tutto ciò che si può fare è rendere il possibile impatto ambientale meno disastroso per la fauna locale.
Bisognerà in tutti i modi cercare di aiutare i pinguini. Una delle loro specie, quella dei pinguini imperatori, rischia l’estinzione entro il 2100.
Antonia Ferri