L’Onu ha definito le responsabilità italiane nel naufragio del 2013 a Lampedusa

naufragio del 2013

Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha pubblicato ieri, 27 Gennaio, un documento nel quale vengono definite le responsabilità italiane nel naufragio avvenuto vicino alle coste di Lampedusa nel 2013.

É impossibile stabilire il numero esatto di vittime causate da quel tragico evento, ma le stime suggeriscono che circa 200 persone, tra cui almeno 60 bambini, annegarono nel Mediterraneo nell’Ottobre di otto anni fa.




La sentenza, che stabilisce che l’Italia non ha intrapreso sufficienti misure per adempiere al suo dovere di protezione del diritto alla vita di quei migranti, è arrivata dopo sette anni dall’inizio del processo che è stato celebrato a seguito della denuncia presentata da quattro sopravvissuti, tre cittadini siriani e un palestinese, che nel naufragio del 2013 hanno perso dei familiari.

Nel documento che illustra la decisione del Comitato per i diritti umani dell’Onu vengono riportati dettagliatamente i fatti di quel giorno.

L’imbarcazione, su cui viaggiavano circa 400 persone, è partita dalle coste libiche intorno all’una di notte del 13 Ottobre 2013. Secondo le testimonianze non era passato molto tempo dall’inizio del viaggio in mare quando la nave è stata colpita da un mezzo battente bandiera berbera e ha iniziato ad imbarcare acqua.

La prima chiamata proveniente dalla barca di migranti verso l’Italia è stata fatta nella tarda mattinata, intorno alle 11.00.

Durante il primo contatto i passeggeri hanno cercato di far capire alle autorità italiane il pericolo in cui si trovavano comunicando anche la presenza di numerosi minori a bordo, premurandosi, però, di trasmettere le coordinate della loro posizione.

Dopo questa prima comunicazione ce ne sono state molte altre. Il Centro di coordinamento di salvataggio marittimo, con sede a Roma, ha registrato l’arrivo di tre chiamate da parte dei migranti, alle 12.26, alle 12.39 e alle 12.56. Durante uno di questi colloqui telefonici l’ufficiale italiano ha rassicurato l’interlocutore, chiaramente in stato di agitazione, sul fatto che i soccorsi sarebbero arrivati presto da loro.

Alle 13.17, però, i passeggeri della nave, che nel frattempo continuava ad imbarcare acqua, sono stati costretti a mettersi nuovamente in contatto con l’Italia. É solo a questo punto che ai migranti viene comunicata l’indisponibilità dei mezzi di soccorso italiani. Nella stessa occasione viene fornito loro il numero delle autorità maltesi a cui rivolgersi.

Bisogna specificare che la nave dei migranti si trovava in acque internazionali sotto la giurisdizione maltese, ma la sua posizione era prossima alle coste italiane, più vicina all’isola di Lampedusa che a Malta.

Oltretutto, sempre secondo la ricostruzione contenuta nel documento pubblicato dalla commissione delle nazioni unite, un’imbarcazione italiana, la Its Libra, si trovava nelle vicinanze dei migranti in difficoltà.

Alle 15.37, non a caso, un ufficiale dell’Air Force aveva contattato il Commando della Marina Italiana per chiedere quali ordini impartire alla nave Its Libra, posizionata vicino al luogo del naufragio, e si era sentito rispondere di farla allontanare.

Sono queste azioni decisionali, insieme alla mancata comunicazione di informazioni accurate circa il posizionamento dei migranti in difficoltà alle autorità maltesi, che rendono l’Italia responsabile della morte delle 200 persone nel naufragio del 2013.

Quando finalmente la motovedetta maltese è arrivata in soccorso dei naufraghi, infatti, erano ormai le 17.50 e il mezzo su cui si trovavano gli uomini e le donne in fuga dalla Libia era affondato rendendo le operazioni di salvataggio molto difficili.

Solo alle 18.00, inoltre, sollecitata da Malta, l’Italia ha autorizzato l’uso della nave Its Libra per contribuire alle operazioni di soccorso.

Se le autorità nostrane avessero inviato i soccorsi appena ricevuta la comunicazione dell’incidente, i naufraghi avrebbero potuto essere raggiunti intorno alle 15, circa due ore prima l’inabissamento della nave su cui si trovavano.

L’Italia, insomma, aveva la responsabilità di agire per salvare le vite dei 400 migranti, anche se l’imbarcazione su cui viaggiavano non si trovava nella sua zona di salvataggio:

è un caso complesso. L’incidente è avvenuto in acque internazionali, entro la zona di soccorso e ricerca maltese, ma la zona era più vicina all’Italia e ad una delle sue imbarcazioni. Se le autorità italiane avessero immediatamente diretto la loro imbarcazione della marina e della guardia costiera a seguito della chiamata di soccorso, gli aiuti avrebbero raggiunto la nave dei migranti al più tardi due ore prima che affondasse.

Queste sono le parole di uno dei membri della Commissione, Hélène Tigroudja.

Sono molti gli elementi che secondo il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite concorrono a definire la responsabilità italiana nel naufragio del 2013.

Uno di questi è rintracciabile nel principio giuridico secondo cui l’obbligo della tutela del diritto alla vita si applica “a tutte le persone che sono nel territorio di uno Stato e a tutte le persone che sono sotto la sua giurisdizione, ovvero tutte le persone sul cui diritto alla vita quello Stato esercita un controllo”.

L’Italia aveva la possibilità di salvare quella vite, anzi, in una delle comunicazioni aveva garantito l’imminenza delle operazioni di salvataggio ai migranti.

Secondo il diritto internazionale del mare, inoltre, gli Stati sono tenuti “a prendere provvedimenti per proteggere le vite degli individui che si trovano in una situazione di pericolo in mare”. Questo significa che le autorità italiane “avevano il dovere di supportare la missione di ricerca e salvataggio dei migranti”.

All’Italia è anche imputato il fatto di non aver aperto indagini interne volte ad identificare i responsabili delle decisioni sopracitate.

La sentenza del Comitato delle Nazioni Unite ha una valenza storica, commentata anche dall’Avvocato Andrea Saccucci esperto in diritto internazionale e legale dei sopravvissuti, perché crea un importante precedente nella definizione degli obblighi di soccorso degli Stati anche nelle zone di acque internazionali e di competenza di altri paesi.

Silvia Andreozzi

 

 

 

 

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