Valerio Evangelisti è un autore che mi ha accompagnato per tutto il periodo scolastico. Sin dalla saga di “Eymerich” ho sempre apprezzato le intelaiature sulle quali poggiano le storie da lui raccontate. Strutture solide, come ottovolanti. Curve paraboliche e repentine salite e discese tengono l’attenzione del lettore sempre alta. L’obiettivo è scoprire dove porteranno tutti quei filoni narrativi. Dove vuole portarci Evangelisti? Il lettore prosegue nella sua attenta analisi come un sistema di navigazione inerziale e giunge, quasi senza accorgersene, all’ambito punto dove tutte quelle linee si congiungono.
“One Big Union” non fa eccezione. Certamente si discosta parecchio rispetto ai romanzi del genere gotico-fantasy ai quali Evangelisti ci ha abituati. Però la strategia narrativa di fondo è sempre quell’accattivante miscuglio tra introspezione del singolo e contesto circostante. Miscuglio, non soluzione, perché sia sempre semplice separare i diversi racconti. Più storie che devono procedere inesorabilmente verso un’unica fine. “One Big Union” è incentrato sulla figura di Robert Coates, un ragazzo di origine nordirlandese, che vive negli Stati Uniti. Un personaggio come tanti americani di fine Ottocento, legato alla famiglia, sempre presente in occasione funzioni religiose, dedito al rispetto delle regole.
Bob regolò la fiamma della lampada e, sedutosi, recitò una breve preghiera per benedire il cibo. Aveva dovuto lasciare con rammarico la Chiesa del Messia, che a Sedalia non aveva parrocchie. Nell’incertezza, aveva optato per i congregazionisti, simili ma un poco più rigidi. Le orazioni, per fortuna, erano quasi le stesse.
Un giorno gli viene proposto di diventare una “Labor Spy”, un informatore sulle attività di un nascente movimento operaio, l’IWW (Industrial Workers of the World). Senza pensarci troppo, Bob accetta l’incarico. È un ragazzo volenteroso e propositivo. Desidera ardentemente avere un ruolo nella società.
«Nemmeno le conosco bene quelle teorie.»
«Non occorre.Devi improvvisare. Imprecare contro capitalismo e sfruttatori. Incitare allo sciopero generale contro il sistema ferroviario e la Pullman. È questo che vuola la GMA.»
L’idea di avere maggiori responsabilità e uno stipendio migliore lo allettano parecchio. Dunque Robert si iscrive ai “Knights of Labour” e si ritrova così coinvolto in violentissime lotte sociali, innescate dagli scioperi e spesso concluse drammaticamente. L’obiettivo dei gruppi rivoluzionari è la realizzazione della One Big Union, l’unico vero sindacato che rechi in sé il modello della società a venire, attraverso la riorganizzazione dei precari, vagabondi, immigrati, braccianti, disoccupati, manovali, ossia le categorie più povere ed emarginate.
«A chi servono i socialisti, gli anarchici? Il sindacalismo basta a se stesso, è più rivoluzionario di loro, più socialista di loro, più anarchico di loro! Dico bene, fratelli?»
I due filoni narrativi corrono paralleli per poi intrecciarsi tra loro: il generale, quarant’anni di storia del movimento sindacale americano, la “One Big Union“, e il particolare, il progetto di vita tradizionalista di Robert Coates, un ragazzo di origine nordirlandese, trovatosi, suo malgrado, in una situazione forse più grande di lui. Bob è soltanto un sabotatore al servizio dei padroni. Esegue ciò che gli si comanda nella speranza di emergere, raggiungere le vette del sistema capitalistico, come nel più consueto “sogno americano”. Non si rende conto di essere soltanto un altro sfruttato. Ponendo a confronto Bob con personaggi storici e illuminati, quali Eugene Debs, Jack London e Dashiell Hammett, l’autore tenta di ricostruire, dalle origini, uno spaccato della storia americana forse poco considerato. Il risultato è notevole.
Bob notò ancora una volta come le canzoni fossero importanti per gli wobblies. Davano coraggio, univano, infondevano spirito di lotta. Era improbabile che Joe Hill (peraltro non autore della canzone, scritta anni prima da un tale Nelson) se la cavasse nel processo in cui era invischiato; tuttavia aveva dotato i sindacalisti di un repertorio di armi potenti, capaci di scavalcare differenze di lingua, di razza e di nazionalità.
Giuseppe Bua