L’Università australiana del Queensland ha condotto uno studio che mostra il collegamento tra omofobia e scarsa intelligenza. Il team di psicologi dell’Università ha portato avanti la ricerca ottenendo risultati decisivi sulla connessione tra capacità cognitive e alterità
Lo studio
Da sempre ci si è chiesti se ci fosse una relazione tra omofobia, razzismo, atteggiamenti discriminatori verso l’altro e un ridotto quoziente intellettivo. Finalmente la Queensland University ha fornito la prova definitiva. Gli psicologi dell’Università hanno preso in esame un gruppo di circa 11 mila persone tra uomini e donne appartenenti a diverse fasce di età. Il Professore Francisco Perales ha successivamente pubblicato i risultati della ricerca sulla rivista Intelligence attraverso una analisi dal titolo “The cognitive roots of prejudice towards same sex couples: an analysis of an Australian national sample” ovvero Le radici cognitive del pregiudizio verso le coppie dello stesso sesso: un’analisi di un campione nazionale australiano.
Queste le varie fasi della ricerca: in un primo momento gli psicologi hanno fatto delle indagini per determinare il livello del quoziente intellettivo di ciascun partecipante. Oltre al QI di ciascun partecipante sono state prese in considerazioni anche il livello di istruzione e la condizione socio-economica. Successivamente hanno chiesto loro di dare un voto da uno a dieci all’affermazione “le coppie omosessuali dovrebbero avere gli stessi diritti delle coppie eterosessuali”. Dalla risposta emergeva uno stretto rapporto tra un basso quoziente intellettivo e la tendenza a discriminare l’altro.
Altre ricerche
Tuttavia questo non è il primo studio ad essere condotto che mostra la correlazione tra omofobia e scarsa intelligenza. Sono molte le ricerche che sono state effettuate e che hanno rilevato una connessione anche tra razzismo e scarso QI. Lo studioso canadese Gordon Hodson ha pubblicato sulla rivista Psychological Science i risultati ottenuti dopo aver condotto un’analisi dei comportamenti di più di 15 mila persone. Lo studio, che è durato più di venti anni, ha dimostrato che le persone con un quoziente intellettivo più basso sono restie ai cambiamenti e hanno un atteggiamento ostile nei confronti di quello che viene considerato “diverso”. Oltre ad avere un comportamento discriminatorio nei confronti dell’altro, queste persone non sanno neppure affrontare le novità e i cambiamenti che riguardano la propria vita. Vivono tutto in maniera statica e non riescono ad abbandonarsi alle emozioni.
In entrambi i casi gli studiosi hanno auspicato la possibilità di educare l’uomo ad una apertura verso l’altro fin dall’infanzia, avviando dei percorsi educativi appositi. Tutto questo deve portare all’eliminazione del pregiudizio e all’apertura, all’accoglienza verso l’altro. Il pregiudizio non è innato ma è influenzato da molti fattori: sociali, ambientali, familiari. Se educati fin da piccoli i bambini possono crescere liberi da pregiudizi per comprendere che l’alterità è ricchezza.
Irene Amenta