Omicidio La Torre: per una vita difese gli umili e osteggiò la mafia

Omicidio La Torre

Omicidio La Torre

Omicidio La Torre: il deputato del Pci venne assassinato insieme a Rosario Di Salvo il 30 aprile del 1982, in un agguato a Palermo.

“Ancora un tragico agguato contro un uomo politico, a Palermo è stato assassinato con il suo autista, l’onorevole Pio La Torre”

Così annunciava la fredda cronaca del telegiornale di quel tragico 30 aprile 1982. Perchè hanno ucciso Pio La Torre? Si domandavano i compagni di partito al suo funerale. Perchè avevano capito che egli non era un uomo che si limitava a discorsi, analisi, denunce. Come da loro ricordato, la risposta era scritta nelle scelte e nelle azioni di tutta una vita. Quel giorno, poche ore dopo l’agguato a La Torre, sopraggiunsero sul luogo del delitto, Falcone, Borsellino, Chinnici e Cassarà. Tutti e quattro, nel guardare la Fiat 131 crivellata di colpi e i corpi delle due vittime, sapevano di vedere, tra il sangue di quei vetri rotti, il proprio destino. A 41 anni dall’omicidio La Torre, l’esempio e lotte di un uomo giusto non dovranno mai smarrirsi nei vuoti dell’incedere del tempo: è quindi fondamentale perpetuarne il ricordo.

“Per tutta una vita” dalla parte degli umili

Come anche affermato dal figlio, Pio La Torre, nonostante abbia combattuto “per tutta una vita” la mafia, non ne fu mai ossessionato, la sua vera lotta aveva come obiettivo finale “il risanamento e il rinnovamento della società e dello stato attraverso la rivendicazione dei diritti degli umili”, che non poteva essere isolata dalla lotta alla mafia. Figlio di due braccianti, nacque nel 1927 ad Altarello di Baida, una frazione a pochi chilometri dal centro di Palermo. Attualmente è un quartiere del capoluogo siciliano, ma fino agli anni ’50 era aperta campagna.

L’impegno nello studio e la voglia di riscattarsi portarono il giovane La Torre ad iscriversi all’università, allontanandolo così dal destino dei suoi genitori: la terra. In realtà, però, sebbene il fato previde per lui una carriera politica tra le fila del Pci, dalla terra non si allontanerà mai davvero. Le prime lotte di Pio La Torre riguarderanno infatti la difesa delle terre dei contadini e i loro diritti. Sarà proprio la passione profusa nelle battaglie al servizio degli umili, che lo porterà a un primo scontro con la mafia delle origini, quella sedimentata nei soprusi dei gabellotti. Come lui stesso scriveva:

“L’economia della Sicilia Occidentale era un’economia agricola basata sul latifondo; i gabellotti mafiosi hanno avuto il controllo dei terreni e, quindi, dell’unica fonte di lavoro dei contadini senza terra”.




Le lotte contadine al fianco dei braccianti

Entrato a far parte della “Federbraccianti”, abbandonò l’università per dedicarsi completamente alla militanza politica al fianco dei contadini. Quando il governo Badoglio attuò la riforma agraria negli anni ’40, i grandi proprietari terrieri si scontrarono con i braccianti, resistendo all’applicazione delle nuove norme, grazie agli interventi dei gabellotti. In un vero e proprio sistema feudale, alla stregua di quello di epoca medievale, in cui i proprietari terrieri erano i feudatari e i gabellotti i loro vassalli, incaricati di contrastare i contadini, reprimendo ogni forma di protesta.

Il culmine delle rivolte contadine si ebbe tra il 1949 e il 1950. Pio La Torre e altri giovani dirigenti del Pci di Palermo si schierarono al fianco dei braccianti, guidando le rivolte e l’occupazione delle terre del corleonese: territorio controllato dai diretti antenati di quello che sarà poi il gotha di Cosa Nostra.

Il 10 marzo 1950, poliziotti e carabinieri in assetto da guerra intercettarono un corteo di contadini mentre rientrava dalle proteste nelle campagne siciliane. La repressione fu durissima e molti furono i feriti. La Torre fu arrestato e condotto all’Ucciardone, dove resterà per 17 mesi.

La Commissione Parlamentare antimafia e l’Art. 416-bis

Eletto deputato per la Sicilia Occidentale nel 1972, La Torre non smise mai di combattere per il riconoscimento dei diritti delle classi meno abbienti. Il perseguimento di questi obiettivi, sin dall’inizio della sua carriera politica, andò di pari passo con la lotta alla mafia. In questa battaglia di una vita intera rimase sempre lucido, al punto da comprendere l’evoluzione degli affari mafiosi, nello stesso momento in cui si verificava. Fu il precursore del principio:”Segui i soldi, troverai la mafia” , utilizzato da Falcone nelle sue indagini; diceva infatti:

“Noi proponiamo di concentrare la nostra attenzione sull’illecito arricchimento, perchè la mafia ha come fine l’illecito arricchimento”.

Da deputato fece parte della Commissione Antimafia ed ebbe modo di conoscere da vicino i rapporti che intercorrevano tra mafia e politica. Svolse moltissime ricerche e studi per poter comprendere meglio il fenomeno mafioso. La norma che porta il suo nome, la legge “Rognoni-La Torre”, meglio conosciuta come art. 416-bis, testimonia l’impegno profuso nel contrastare la mafia. La fattispecie di reato così introdotta entrerà in vigore, però, soltanto dopo la sua morte.

Omicidio La Torre: delitto di matrice mafiosa o politica?

Giovanni Falcone diceva dell’omicidio La Torre:

«Omicidi come quello di Pio La Torre sono fondamentalmente da ritenere di natura mafiosa, ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di un’organizzazione criminale, anche se del calibro di Cosa Nostra.

Qui si parla di omicidi politici, di omicidi, cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica: fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti»

L’attivismo politico di La Torre trascendeva la lotta alla mafia. La sua era una politica fatta di asfalto, di piazze, di popolo. Gli interessi degli ultimi e della sua Sicilia erano le priorità. Negli ultimi anni della sua vita contrastò duramente l’installazione di 112 missili Cruise nella città di Comiso, nel ragusano. Non condivideva la scelta di fare della sua isola una delle basi Nato più importanti d’Europa.

Il 4 aprile del 1982, ventisei giorni prima della sua morte, guidò un corteo di migliaia di persone in una protesta di fronte ai cancelli della base missilistica. Le sue prese di posizione erano capaci di smuovere le masse contro delicate decisioni di importanza mondiale, in piena guerra fredda. In nome del buon senso e della civiltà arrivò a sfidare la Nato e non ebbe mai il timore di fare i nomi quando necessario. Basta questo per capire quanto difficilmente potesse essere solo la mafia a volere il suo delitto.

“Quest’anno alcuni omicidi compiuti a Palermo rappresentano un salto di qualità nel modo di operare mafioso, e fanno sorgere interrogativi e dubbi inquietanti. Certo Reina è stato parte integrante del sistema di potere della DC a Palermo, con le sue poche luci e le sue molte ombre. Sta di fatto, però, che l’ascesa di Reina ha coinciso con la riduzione del potere dell’ex sindaco Vito Ciancimino, il quale invece ha ripreso a dettar legge nella Dc palermitana proprio dopo l’assassinio di Reina. 

In secondo luogo le due ultime vittime Giuliano e Terranova sono due limpidissime

figure, il cui unico rapporto con la mafia è quello di averla sempre combattuta.  […] Quello che intendo sottolineare qui è che gli omicidi di Giuliano, Terranova e Reina hanno tutti e tre una matrice politica, bisogna individuare quindi il gruppo politico mafioso che sta portando avanti questo disegno terroristico”.

Queste durissime parole dello stesso La Torre aiutano a rispondere alle molte domande che la sua stessa morte fa sorgere. Infondono, inoltre, maggiore limpidezza sui rapporti nebulosi di quegli anni tra mafia e politica e sui paludosi intrecci che portarono al suo omicidio.

Raffaele Maria De Bellis

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