Le ombre di Boltanski, da Moholy-Nagy fino a Fabre per Procida

Le ombre di Boltanski, da Moholy-Nagy fino a Fabre per Procida

Le Ombre di Boltanski

Al centro del percorso il Teatro delle Ombre di Christian Boltanski, progettato dall’autore tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo. Si tratta di un insieme di figurine metalliche appese tramite fili su poco ingombranti strutture. Le sagome si muoverebbero al buio, ma i fasci di luce proiettati su di esse determinano un gioco di ombre sulle pareti che circoscrivono lo spazio in cui l’opera viene installata.

La vanitas in danza

Quel che viene a crearsi è una danza macabra di grottesche silhouettes, maschere. Le ombre parlano dell’evanescenza della vita, del secolare tema della vanitas sono tracce rivelatrici  che librano e vibrano informi sulle mura.

Partendo dalle Ombre di Boltanski

Smontiamo l’opera di Boltanski in due componenti; ciò ci permetterà di ritrovarle individualmente per costruire un percorso che dal ventesimo secolo entra nel ventunesimo. Si andrà indietro, trovando un lavoro di uno dei protagonisti delle avanguardie storiche, quanto in avanti verso una creazione ad oggi presente nell’Isola di Procida, Capitale Italiana della Cultura 2022.



Il Modulatore di Moholy-Nagy

Il sistema delle ombre proiettate sulle pareti ha un importante precedente in László Moholy-Nagy. L’artista ungherese crea, negli anni ’20 del Novecento, il suo Light Space Modulator; quest’ultimo è dotato del medesimo meccanismo del Teatro di Boltanski per sprigionare, dal nucleo centrale dove è posta la fonte di luce, dei giochi di proiezione. La luce, infatti, rifrange nuovamente su degli elementi metallici esterni, messi in movimento rotatorio, mentre attraversa gli spazi vuoti tra di essi raggiungendo la parete. Sulle mura si svolgono quindi, in un determinato tempo che diviene il periodo del Modulatore, le possibilità figurative della scultura che l’artista ha determinato in fase progettazione. È da tale opera che deriva la possibilità di riempire l’intero ambiente a disposizione, tramite uno scheletro plastico e la diffusione trasformativa della luce; da Moholy-Nagy deriva la tipologia di scultura effimera e impalpabile che ritroviamo nel Teatro delle Ombre

L’opera di Jan Fabre a Procida

La sospensione degli elementi fisici nello spazio torna in The Catacombs of Dead Street Dogs (2009-2017) di Jan Fabre. Quest’opera ha già trovato ospitalità negli anni 2000 a Venezia e a San Pietroburgo; ora è invece visibile nella mostra dal titolo SprigionArti, installata negli spazi dell’ex carcere di Procida. Palazzo D’Avalos, infatti, sarà animato fino alla fine di quest’anno speciale per l’isola dalle opere di alcuni importanti artisti contemporanei. In queste Catacombe nastri colorati di vetro di murano si accompagnano a scheletri di cani randagi, i colori vividi del materiale lavorato si affiancano al bianco delle ossa degli animali scarnificati da ogni componente vitale.

Il rapporto con l’ex carcere dell’isola

Ancora una volta l’incontro, il passaggio tra la vita e la morte. Nel caso di Fabre, il tema non viene affrontato e trasmesso da delle ombre spettrali; le figure restano sospese in aria in tutto il loro peso, che le porta fino a posarsi al suolo. Allo stesso modo delle restanti opere della mostra procidana, l’artista  belga ha impostato il dialogo con il peso della storia, dei corpi dei carcerati che si sono susseguiti negli spazi di reclusione entro i cui resti si ambienta la mostra.

Giacomo Tiscione

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