Il 1° maggio 1947 si consumò la strage di Portella della Ginestra, presso la Piana degli Albanesi, in Sicilia, per mano del bandito Salvatore Giuliano e dei suoi uomini. I reali mandanti della sparatoria sono ad oggi tutt’ora ignoti: tra le varie ipotesi, sembra probabile un coinvolgimento degli USA, interessati a ostacolare il PCI favorendo la Democrazia Cristiana.
Sono passati 77 anni dalla prima, violenta strage dell’Italia Repubblicana a Portella della Ginestra, e restano ancora molte incertezze sull’identità degli effettivi mandanti che assoldarono il bandito siciliano Salvatore Giuliano e i suoi uomini per sparare sulla folla di lavoratori in festa assieme alle loro famiglie. Gli atti riguardanti la strage restano ad oggi in parte coperti da segreto di Stato, e solo una forte spinta interna alle istituzioni potrebbe finalmente aiutare a fare chiarezza su quali siano state le effettive responsabilità dell’eccidio.
Cosa accadde il 1° maggio 1947
Il 1° maggio 1947 c’erano quasi duemila braccianti agricoli a Portella della Ginestra, con i loro figli e le loro mogli, radunatisi per celebrare la Festa dei Lavoratori e protestare contro il sistema dei latifondi. Pochi giorni prima, infatti, il Blocco del Popolo (Fronte Democratico Popolare), alleanza tra il leader socialista Nenni e il comunista Togliatti, aveva vinto contro la Democrazia Cristiana alle elezioni per l’Assemblea Regionale siciliana, e tra le sue battaglie principali c’era una riforma agraria che avrebbe permesso una redistribuzione di terre e raccolti favorendo i contadini nullatenenti e impoveriti dai latifondisti, spesso affiliati a Cosa Nostra.
Poco dopo le 10 del mattino, i banditi capitanati da Salvatore Giuliano, precedentemente appostati dietro i massi rocciosi della Piana degli Albanesi, iniziarono a sparare sulla folla, uccidendo undici giovani sul colpo, di cui quattro bambini, e ferendo tra le trenta e le sessanta persone. Altre sei persone morirono in seguito alle ferite riportate, e un’altra fu uccisa in un secondo momento dai banditi in fuga.
Le responsabilità di Cosa Nostra nella strage
La strage non arrivò come un fulmine a ciel sereno: prima e dopo la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni del 20 aprile, si erano registrate minacce e attentati di matrice mafiosa verso esponenti del Partito Comunista locale, per dissuadere il popolo dal voto a sinistra.
Dopo la strage del 1° maggio 1947, quindi, agli inquirenti apparve chiaro fin da subito il coinvolgimento di Cosa Nostra, interessata a mantenere lo status quo nella gestione feudale dei terreni agricoli: trattando con i latifondisti, la mafia deteneva quella che nel secondo dopoguerra era la principale fonte di ricchezza e sostentamento della popolazione siciliana, riuscendo così a tenerla soggiogata.
Nonostante l’evidente coinvolgimento di Cosa Nostra, i 74 mafiosi indagati vennero tutti prosciolti. Prese subito piede la pista dei banditi capitanati da Salvatore Giuliano, che venne ucciso due anni prima della condanna in via definitiva sentenziata dal tribunale di Viterbo nel 1952. Lo stesso Giuliano era stato responsabile di alcuni attentati a diverse sedi locali del PC nelle settimane dopo la strage, e aveva in quelle occasioni spronato la popolazione a ribellarsi verso “il comunismo avanzante”.
I mafiosi furono gli unici mandanti?
Sebbene il tribunale di Viterbo, dopo indagini frettolose e inadeguate, avesse assegnato piene responsabilità di esecuzione alla banda di Salvatore Giuliano, nella sentenza mancavano completamente riferimenti ai reali mandanti.
Se escludiamo l’ipotesi molto semplicistica dell’eccidio come mero deterrente elettorale, per scoraggiare i cittadini a votare per il Blocco Popolare, appare invece molto probabile l’ipotesi che vede la banda di Giuliano assoldata dai mafiosi per sedare qualsiasi intenzione di sovvertimento popolare dell’ordine e dei sistemi di potere.
I rapporti tra Giuliano e la mafia siciliana furono continui e proficui: lo confermarono in tribunale il bandito Gaspare Pisciotta e il pentito di mafia Tommaso Buscetta. La relazione sui rapporti tra mafia e banditismo in Sicilia, presentata alla Camera dei Deputati nel 1972 dalla Commissione d’inchiesta sulla mafia siciliana, così si espresse in merito all’impunità di Giuliano: «Se la banda Giuliano ha potuto resistere, da sola, così a lungo nella zona di Montelepre, tenendo in scacco tutte le forze di polizia, si deve senz’altro attribuire ciò alla compiacente copertura della mafia».
Alla luce di ciò, è impossibile non credere che Giuliano fosse quindi stato usato come pedina, manovrata dai vertici di Cosa Nostra per seminare il terrore tra i lavoratori, quel 1° maggio, e allontanare così il rischio di una rivolta sociale per mantenere il proprio potere sulle terre coltivate, e quindi sul popolo siciliano.
L’ipotesi della responsabilità degli USA
Ma c’è un’altra possibilità: un intervento statunitense volto a mettere definitivamente fuori gioco il Partito Comunista Italiano, nemico primario degli Stati Uniti in quanto molto vicino, politicamente, all’Unione Sovietica di Stalin. Furono molte, infatti, negli anni successivi alla fine della guerra, le inferenze statunitensi per impedire che il comunismo avesse la meglio nei territori dell’Europa occidentale, area d’influenza degli USA come stabilito dagli accordi di Jalta.
Cosa Nostra aveva intrecciato rapporti con gli Stati Uniti sin dalla Seconda Guerra mondiale, per organizzare lo Sbarco in Sicilia del ’43.
Lo stesso Salvatore Giuliano era in contatto con l’agente americano Michael Stern, in Italia sotto copertura, cui chiedeva regolarmente rifornimenti di armi: particolarmente interessante, una missiva intercettata nel giugno del ’47, un mese dopo la strage di Portella della Ginestra, in cui Giuliano chiedeva di passare dalle «armi leggere» a quelle «pesanti». Sulla scena del massacro vennero in effetti ritrovate bombe-petardo di fattura americana. In cambio di un progressivo abbattimento del potere eversivo del Blocco Popolare, quindi, a Giuliano venne promessa l’impunità e, verosimilmente, una cospicua somma di denaro.
Forse non è un caso, quindi, che nel 1952, a Gaspare Pisciotta, in carcere dopo aver ucciso lo stesso Salvatore Giuliano, fosse stato inviato un assegno da 35.000 dollari (ad oggi sarebbero più di 300.000 euro) firmato da un non meglio identificato “James P. Morgan”. L’assegno fu prontamente sequestrato grazie ai controlli carcerari.
Una verità ancora troppo lontana
Tutti gli indizi sembrano proprio puntare a un forte interesse da parte degli Stati Uniti affinché quella strage avvenisse, e affinché il Blocco Popolare e il suo potenziale eversivo venissero in tutti i modi ostacolati: un interesse internazionale che andò a intrecciarsi a un interesse nazionale di democristiani, fascisti e mafiosi.
Nel 1948, dopo stragi, minacce e attentati, in Sicilia tornò a vincere la Democrazia Cristiana.
Oggi, a 77 anni da quella strage, è più che mai necessario ribadire quanto sia fondamentale che tutti gli atti vengano resi pubblici, per restituire giustizia alle vittime e per poter ricostruire un pezzo tragico ma fondamentale della storia del nostro Paese.
Michela Di Pasquale