Le condizioni necessarie alla realizzazione della concorrenza “perfetta” diventerebbero realistiche in caso di eliminazione della proprietà privata e in assenza di danaro:
- Numero indefinito di attori;
- Completa libertà di azione;
- Libera circolazione delle informazioni;
- Mobilità delle risorse e delle persone;
- Qualità delle merci uguale per tutti;
- Equilibrio perfetto tra domanda e offerta.
Una delle idee più rilevanti elaborata da Adam Smith è quella per cui
« il libero agire di una pluralità d’individui egoisti non determina il caos, ma al contrario un sistema sociale ordinato – sul quale è quindi possibile un’investigazione scientifica – e tale per cui l’operato del singolo, volto a procurarsi il maggior vantaggio possibile, torna, con apparente paradosso, a vantaggio di tutti gli altri ».
Io asserisco che il libero agire di una pluralità d’individui altruisti non determina l’oblio, l’appiattimento, l’omologazione degli stessi, ma al contrario un sistema sociale armonico e tale per cui l’operato condiviso di tutti a procurare il maggior vantaggio generale, torna a vantaggio di ciascuno, massimizzandolo. In un sistema partecipativo, la funzione svolta dalla concorrenza è assolta dalla libertà del buon agire comune che in sua assenza si sprigiona.
Quello che gli uomini hanno sempre chiamato Dio/Padre o “Dei” non rappresenta altro che il bisogno innato, la percezione inconsapevole o inconscia dell’appartenenza a un tutto. Cos’è l’immortalità se non il senso di appartenenza a un insieme e quindi immortalità della specie? Elaborare uno spirito originario sarebbe per l’umanità la sua unica speranza di sopravvivenza. I limiti intrinseci del singolo uomo scompaiono se il singolo viene naturalmente a far parte di un tutto, di un progetto universale volto al soddisfacimento dei bisogni di tutti e quindi di ciascuno e in cui ciascuno, soprattutto i più piccoli, sono protetti da tutti. L’accudimento dei bambini sarà il primo e più importante “scrupolo” di una società siffatta d’individui sempre più virtualmente sani, liberi di esprimersi e solidali. I limiti psicologici dell’uomo, abbinati a un agire individualista e competitivo, giocato su un terreno troppo duro, messi a confronto con un ambiente già per sua natura troppo difficile e ostile, diventano letali per l’uomo stesso. E dove il paradosso diventa quello per cui l’agire comune e armonico per un bene generale non determina l’annullamento dell’individualità, ma anzi esalterebbe le virtù, le capacità del singolo. Per definizione finalmente nessuno resterebbe escluso dalla “gara”, tutti “concorrerebbero” alla stessa maniera, con gli stessi mezzi e le stesse potenzialità, si avrebbe pieno accesso per tutti alle stesse risorse e alle stesse informazioni avendo poi tutti alla fine lo stesso interesse a poter godere del medesimo miglior risultato possibile.
Esiste allora il libero arbitrio? Questo non è il dilemma… l’obiettivo è vivere semplicemente vivere. Il libero arbitrio esiste solo come espressione positiva dell’esistenza, esiste solo nel bene, non è espressione né di un merito, né di un demerito, non esiste per attribuire/giustificare premi o punizioni, è il reale. C’è libero arbitrio dove c’è l’essere, perché si possa esprimere e liberare.
Secondo i Giusnaturalisti i diritti individuali dell’uomo sono innati, sono intrinseci alla sua natura per cui non vengono da una concessione dello stato, ma poi li perde, trovandosi quindi nella necessità di doverli riconquistare, codificare e farli imporre con la forza. Da qui il fallimento.