Giacinto “Marco” Pannella: un cittadino del mondo senza paure

Oliviero Beha

Di Oliviero Beha

 

Con la morte, a 86 anni dilaniato dai tumori, di Giacinto Pannella “detto Marco”, come hanno recitato centinaia di migliaia di schede elettorali da due generazioni abbondanti, il presepe della vita pubblica italiana perde forse il suo ultimo pezzo veramente importante. Sul piano culturale e antropologico, quindi civico e politico. Per ricordarlo nelle varie stagioni delle sue battaglie, coincise con la sua vita, ci vogliono o tomi o poche frasi. Qui opto necessariamente per la seconda via. Il leader storico radicale è stato un vincente fenomenale, psichico e somatico, anche se spesso mascherato da perdente, ha cambiato a colpi di parole disarmate la mentalità e il costume di molti italiani, almeno finché ha potuto. Ha ingenerato dubbi, come è giusto che fosse e che sia, ha commesso errori specie nella seconda parte della sua interminabile lotta, ha lasciato una scia di equivoci solo di contorno, che non intaccano la personalità da capitano di ventura dell’intelligenza e del logos che Pannella è stato. Una figura con forti connotazioni cosmopolite, da autentico civis universalis.

Lascia un’Italia certamente peggiore di quella in cui è cresciuto e ha fatto politica, marcando soprattutto negli anni ’60 temi dominanti come il divorzio, l’aborto, la libertà sessuale, la pena di morte, la fame nel mondo e la pace. Misuriamo la sua stazza dalla voragine pubblica che lascia e probabilmente anche dall’inconsapevolezza di chi resta nei confronti di tale voragine, anche se hanno provato e proveranno a cadavere caldo ancora per un po’ a riempire il grande buco di ipocrisia. Chiunque l’abbia conosciuto personalmente ne ha un ricordo vivido. Insomma, la sua esistenza è stata una continua “confessione d’aver vissuto”. Avercene così… Addio Marco.

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