Olive Oatman, nata nell’Illinois, è stata spesso definita la ‘pioniera con la faccia tatuata’. La sua storia si colloca intorno alla metà dell’Ottocento e, probabilmente, è stata la prima donna occidentale ad essere tatuata. Una circostanza che in quegl’anni sconcertò, e non poco, l’Occidente. E’ l’età Vittoriana, anni in cui si afferma l’ideale di bellezza proposto dal romanzo gotico, legato alla naturalezza e alla sobrietà.
Trionfa la bellezza diafana, incarnata dalla musa romantica, pallida, sottile. Sale al trono la Regina Vittoria che segnò il declino dell’uso della cosmesi; fu un periodo dominato da un rigido codice morale. Ciò non toglie che la cosmesi riscontra un notevole perfezionamento proprio nella metà dell’Ottocento. Ed è proprio in questo secolo che ci si imbatte per la prima volta in una vera e propria moda del tatuaggio.
Olive Oatman fu, quindi, la prima donna bianca nella storia dell’Occidente ad essere tatuata. Il suo tatuaggio era avventato e, probabilmente, lo sarebbe anche per gli standard di oggi. Si trattava di un tradizionale tatuaggio sul mento della tribù Mohave – gruppo di Nativi Americani -. La triste storia di una giovane donna, rapita dagli indiani d’America, che può insegnare a trasformare i punti deboli in punti di forza. Una storia, verosimilmente, ancor più avvincente dello stesso tatuaggio .
Olive Oatman e la sua famiglia
Quella della famiglia di Olive Oatman è una storia che parte dalla visione nel 1823 di Joseph Smith. Siamo agli albori del Mormonismo, una religione che ha in somma considerazione il passato e una terra promessa; un luogo incantevole dove vivere in equilibrio. La famiglia Oatman apparteneva ai Mormoni e, nel 1851, decise di partire alla ricerca di un posto dove stabilirsi. Durante il viaggio finirono nella zona che attualmente è conosciuta col nome di Arizona, qui furono assaliti e sterminati dagli indiani Yavapai. Uniche superstiti, grazie alle usanze della tribù, furono Olive e la sorella Mary Ann.
Furono imprigionate e schiavizzate dagli Yavapai. Qualche tempo dopo le due sorelle vennero vendute ad un’altra tribù, quella dei Mohave. Vennero adottate, dal capo tribù insieme alla moglie, garantendogli condizioni di vita nettamente migliori, rispetto a quella concessa dalla tribù degli Yavapai. Accolte a tal punto che i Mohave offri loro un tatuaggio tradizionale sul mento. Nella tradizione indigena era considerato un ‘lasciapassare’ per l’aldilà. Nel 1855, in seguito ad una grave siccità, la sorella di Olive morì. Nel 1856 Olive Oatman fu ricondotta nella sua civiltà.
Ancora una volta sconvolta psicologicamente per lo sradicamento, che la portò via dalla vita della tribù che l’aveva accolta. Riportata nella civiltà a cui apparteneva dove, per via del vistoso tatuaggio, divenne piuttosto nota. Vista come la ragazza costretta al tatuaggio dai selvaggi nativi. Un anno dopo il suo rientro, Olive Oatman venne intervistata da un pastore metodista, Royal B. Stratton. Il pastore ne scrisse un libro – Tra gli Indiani – che vendette 30000 copie. A quell’epoca un’enormità. Olive Oatman negò sempre di aver subito violenze o coercizioni sessuali, sia dagli Yavapais che dai Mohave.
Dopo Olive Oatman la ribellione al femminile incisa sulla pelle
Quasi certamente non tutti sanno che il tatuaggio è una delle pratiche più antiche. Le prime tracce sono state trovate sulla mummia di una sacerdotessa egiziana. Della dea Hathor, chiamata Amunet e vissuta a Tebe intorno al 2200 a.C.. L’antropologia la definisce una pratica che rientra nella fascia delle modificazioni/alterazioni del corpo. Storicamente e largamente diffuse pressappoco in tutte le società, soprattutto tra centinaia di culture indigene nel mondo. Malgrado ciò in Occidente la civiltà giudaico-cristiana l’ha contrassegnata quale pratica deleteria e selvaggia, fino a farla diventare un’attività clandestina.
Il tatuaggio acquisì un significato sempre più ribelle, tanto da manifestare un’esplicita opposizione all’ordine, al potere e alla sottomissione politico-religiosa. Preamboli a cui va aggiunto la preclusione intorno a cui era avvolta la donna e il suo corpo. Versò la metà dell’Ottocento iniziò ad ottenere fama anche in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa. Le donne con il corpo tatuato si esibivano particolarmente al circo, o persino nei freak show. Il cosiddetto fenomeno Circus Lady, tra le più note vi è Nora Hildebrandt, esibiva ben 365 tatuaggi, uno per ogni giorno dell’anno. Altra storica Lady fu Irene Woodward, nota come Irene La Belle.
Seguì, nel 1900, la famosa Betty Broadbent attaccò il perbenismo della società dell’epoca presentandosi al concorso di Miss America. Da non dimenticare la leggendaria artista circense Mrs.Maud Stevens Wagner : contorsionista e trapezista anche la prima tatuatrice donna nella storia degli Sati Uniti. Nel 1947 Elizabeth Weinzirl, introdusse il tatuaggio nel mondo femminile ‘per bene’. Nota come la Tattoed Granny (la nonnina tatuata).
Stando a quanto espone Mifflin, a rendere ordinario a uso e costume il tatuaggio fu proprio Elizabeth Weinzirl: residente a Portland, nell’Oregon. Si tatuo per la prima volta a 1947, a più di ottant’anni, ormai vedova e in sovrappeso, si fece fotografare con i seni coperti di uccellini.
Proibizione e riscoperta
Secondo la storia il primo divieto del tatuaggio risale all’Impero Romano, ad opera dell’Imperatore Costantino. Interdì questa attività attenendosi al Levitico 19:28, dove venivano condannati i ‘marchi sulla pelle’. Ciò contribuì ad accrescere il valore simbolico del tatuaggio di opposizione e negazione dell’ordine sociale. Secondo Margot Mifflin fu proprio in questo periodo che alla proibizione del tatuaggio si aggiunse quello del corpo femminile. Trasformando pertanto la donna tatuata in una sovversiva.
Venne risolutivamente proibito nel 787 da Papa Adriano nel corso del Concilio di Nicea, ribadito successivamente da susseguenti bolle papali. Non a caso svanisce in ogni cronaca del tempo. Sebbene proibita, sussisteva clandestinamente negli ambienti meno facoltosi, col passare degli anni si fossilizza in una concezione prevalentemente associata al corpo maschile. Al contrario per le donne tatuate, vanno contro una stigmatizzazione.
Riaffiora dalla parvenza buia nella seconda metà del XIX secolo, grazie alla pubblicazione di Cesare Lombroso: L’uomo delinquente, nel 1876. Lombroso pone in stretta correlazione il tatuaggio e la degenerazione morale congenita nel delinquente. Il tatuaggio definiva una ‘caratteristica’ tipica di alcune categorie di individui. Tenuti a vivere ai margini della società come marinai e carcerati. La dicotomia bene/male nei confronti del tatuaggio si snoderà soltanto negli anni ’80 del Novecento, rimanendo comunque critica nei confronti del corpo femminile.
Verso la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la pratica del tatuaggio si diffonde progressivamente. Inizialmente nelle sottoculture di giovani hippy; nelle carceri; fra i motociclisti; fino a conquistare pian piano ogni strato sociale e ogni fascia d’età. Fra la fine degli anni ‘90 e i primi anni ‘00 il tatuaggio si è esteso, via via aumentando. Pressato dalla popolarità dei personaggi pubblici, e da semplice fenomeno di costume.
Margot Mifflin
Scrittrice e docente della City University of New York – ha riservato diversi studi racchiusi nel volume “The Blue Tattoo: The Life of Olive Oatman”. (Corpi Sovversivi). Raccoglie più di 200 immagini singolari che rivelano il rapporto tra donne e tatuaggio. In tutte le epoche. Sia donne tatuate che tatuatrici: circensi; galeotte; mistiche; rockstar; artiste borderline. Per giunta insospettabili professioniste, congiunte dalla volontà di usare la propria pelle come una tela. Una tela su cui esprimere indelebilmente la propria individualità.
Le origini antichissime e distanti di ciò che l’Occidente tratta come una tendenza, ma che, in diverse culture e latitudini, è stata una pratica culturale complessa e ricca di significati. Dai primi tatuaggi visti da James Cook sui corpi dei Nativi Americani nel corso dei viaggi nei mari del Sud, sino alla scena punk degli anni ’70. Che ne amplia l’aureola di simbolo di una subcultura maledetta e ribelle. Fino all’attuale normalizzazione, dove diviene tendenza perdendo il suo carattere sovversivo, per trasformarsi in semplice espressione di uno stile soggettivo.
Felicia Bruscino