Olimpiadi 2024, competizione tossica nella società della performance: cosa direbbe Jonathan Livingston?

Competizione tossica alle olimpiadi 2024: lo sguardo di Jonathan Livingston

“La velocità perfetta figliolo é esserci.”

(R. Bach – Il gabbiano Jonathan Livingston)

Il mondo contemporaneo é profondamente segnato, in ogni suo aspetto, da un paradigma competitivo, che troppo spesso sfocia in una competizione tossica. Si tratta di un fenomeno che ha modificato la postura dell’uomo nei confronti dell’esistenza, spesso ribaltandone e sostituendone i valori.

Uno degli ambiti che maggiormente soffrono la pressione della competizione é senz’altro quello sportivo che, come quello scolastico, consiste di scale di valutazione continue, e la spinta a raggiungere sempre quella più elevata.

Olimpiadi 2024: un’intervista riflesso della competizione tossica

In questi giorni di mezza estate è Parigi la città che, forse più di tutte, si illumina delle attenzioni degli spettatori del mondo. La capitale francese, che ospita le Olimpiadi 2024, si rende scenario di magnifiche gesta, ma anche di episodi spiacevoli. Infatti, il 30 Luglio le Olimpiadi e la città ospitante sono stati testimoni di un’intervista che pare il dipinto di una perfetta caricatura della società della performance. Il dettaglio di un quadro che potrebbe essere intitolato ”competizione tossica: il riflesso“.

Da Parigi sono giunte le immagini di un’intervista e del commento dell’ex schermitrice Elisa Di Francisca a Benedetta Pilato, nuotatrice diciannovenne della nazionale italiana, specializzata nello stile della rana.  Il video mostra una giovane atleta commossa e grata dell’esperienza appena vissuta: dopo essersi aggiudicata il quarto posto nei 100 metri rana alle Olimpiadi, nonché manifestazione sportiva di massimo prestigio, Benedetta lacrimava di gioia.

Reazione che all’intervistatrice, però, è parsa fuori luogo. In risposta all’atleta che descriveva quello appena trascorso come il giorno più bello della sua vita, infatti, il commento di Di Francisca é stato il seguente: “Non mi far parlare ti prego, io non ci ho capito niente sinceramente. Non so se ci fa o c’é”, e ancora: “é rimasta male, é rimasta obiettivamente male dai. non é possibile che dice io sono contenta”, conclude poi descrivendo la reazione di Benedetta Pilato come “surreale”.

Elisa di Francisca, allo scorgere delle lacrime di felicità nell’atleta rimane sopraffatta dallo stupore (“ma veramente?”): Benedetta Pilato non ha vinto l’oro, e non é nemmeno riuscita a salire sul podio; tuttavia é felice, colma di una gioia sincera, soddisfatta del suo percorso. E questo, per molti, in un primo momento, risulta difficile da comprendere.




Tale difficoltà descrive il radicarsi del culto dell’eccellenza; dove la traversata, per quanto ricca di tesori, perde il proprio valore se non saprà condurre a una meta degna del più alto dei riconoscimenti. La società della performance è invero caratterizzata da una cultura che enfatizza il successo, l’efficienza e la produttività come valori supremi.

Pertanto, si rivelano convinzioni esito di una cultura che non ha saputo porre dei limiti a sé stessa; di una società che collocando la produttività, e quindi il prodotto, all’apice della scala dei valori, ha introdotto bisogni nuovi negli individui. Eccellere e primeggiare, rappresentano ora un bisogno, una necessità utile a rispondere a standard di vita sempre più elevati e particolari che tendono ad essere normalizzati.

Tanto che la felicità di una ragazza di diciannove anni per un quarto posto alle olimpiadi viene percepita come “assurda”.

Società della performance, da motivazioni secondarie a primarie: attraverso il fenomeno degli enfant prodige

I manuali di psicologia definiscono la motivazione come la spinta a svolgere una determinata attività, “un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali”. Con il variare dell’ambiente, dunque, variano le esigenze, e con esse la direzione della spinta motivazionale.

In un contesto sociale dove i giornali, i social e i siti web sono gremiti di lodi verso gli enfants prodige e la realizzazione di obiettivi scolastici, artistici o lavorativi in tempi precoci, lo schema dei valori cambia, e con esso la scala delle motivazioni. Se la motivazione al successo é inserita nelle piramidi dei testi di psicologia tra le motivazioni secondarie, in un ambiente dove il risultato della performance é il fine ultimo, il successo diviene motivazione primaria.

In tale contesto, la valutazione costante e il bisogno di validazione esterna divengono onnipresenti. L’atteggiamento linguistico delle piattaforme social e dei media contribuiscono a perpetuare questa dinamica, promuovendo un’immagine ideale di successo, che diventa il metro di paragone per tutti. Questa tendenza si traduce in un sistema dove solo i risultati finali contano, ignorando i processi e l’unicità dei percorsi individuali. In questo modo si alimentano negli individui atteggiamenti di competizione tossica, dando origine e nutrimento alla credenza per cui una maggiore velocità nel raggiungimento di risultati d’eccellenza coincida con un maggiore valore di sé.

Attraverso Jonathan Livingston

Mail trucco era sapere” – scriveva Richard Bach nel celebre romanzo “Il gabbiano Jonathan Livingston” – che la sua vera natura viveva ovunque nello stesso momento, perfetta come un numero non scritto, nello spazio e nel tempo”. Poiché Il gabbiano Jonathan, come Benedetta, non è un numero già scritto, e non è il numero che la società lo esorta a raggiungere, ma quello che egli stesso più intimamente e con tutta autenticità sente di incarnare.

Il gabbiano Jonathan Livingston é un breve romanzo di Formazione scritto da Bach e pubblicato nel 1970.  In tutta la percorrenza dell’opera emerge una critica alle società conformiste sorretta dall’allegoria di un gabbiano che decide di liberarsi dalle catene dei ruoli sociali e dalle aspettative che queste rappresentano. Nel viaggio verso sé stesso incontra diverse volte l’esigenza non solo di migliorarsi, ma di eccellere, di raggiungere una perfezione prestabilita. Sarà il suo maestro a ricordargli di seguire la propria falcata:

 

“raggiungerai il paradiso Jonathan, nel momento in cui raggiungerai la velocità perfetta. che non vuol dire volare a mille miglia all’ora, o a un milione, o alla velocità della luce. perché qualunque numero è un limite, e la perfezione non ha limiti. la velocità perfetta figliolo è esserci.

 

Benedetta Pilato sulle ali di Jonathan Livingston

Il messaggio di Bach critica implicitamente la società della performance e la competizione tossica, suggerendo che una realizzazione profonda ed autentica possa derivare unicamente dalla conoscenza di sé, dall’auto-accettazione e dal saper riconoscere l’importanza del mezzo e del percorso. Jonathan Livingston rappresenta un modello di resilienza contro la pressione sociale, che possiamo oggi accostare alla figura di Benedetta: entrambi capaci di mostrare che il vero successo non è necessariamente visibile agli altri, ma risiede nella soddisfazione interiore.

Alessandra Familari
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