Il 25 maggio 1922 nasceva a Sassari Enrico Berlinguer, storico leader del Partito Comunista Italiano che per la prima volta nella storia riuscì nella grande impresa di portare il PCI ad essere il secondo partito per numero di voti, a pochissimi punti di distanza dalla Democrazia Cristiana. Fu promotore entusiasta del compromesso storico con la DC e di un eurocomunismo distaccato da quello sovietico in nome di solidi ideali democratici. A quarant’anni dalla sua prematura scomparsa, il suo nome è ancora sinonimo di serietà politica, rispetto del proprio ruolo, lungimiranza e passione nell’inseguire le proprie giuste idee.
Enrico Berlinguer: il politico più popolare della storia italiana
“Enrico, se tu ci fossi ancora / ci basterebbe un sorriso / per un abbraccio di un’ora. / Il mondo cambia, ha scelto la bandiera. / L’unica cosa che resta è un’ingiustizia più vera”. Questo cantava Antonello Venditti nella sua canzone Dolce Enrico, scritta in seguito alla morte di Enrico Berlinguer e dedicata proprio al leader del Partito Comunista che, in 12 anni da Segretario Generale, dal 1972 al 1984, si era guadagnato la stima di tutti, anche dei più incalliti democristiani.
Persino Giorgio Almirante, Segretario del Movimento Sociale Italiano di matrice fascista, si recò a rendergli omaggio il giorno del suo funerale, e con lui altri due milioni di italiani, stipati nella piccola piazza Venezia a Roma, con le lacrime agli occhi e le bandiere rosse al cielo. Davanti a quelle immagini, destinate a rimanere scolpite nella storia, non è difficile rendersi conto del fatto che Berlinguer sia stato senza dubbio l’uomo politico più popolare che la storia italiana abbia mai conosciuto.
Nel 1991, Giorgio Gaber, nella sua famosa canzone Qualcuno era comunista, scrisse questo verso: “Qualcuno era comunista…perché Berlinguer era una brava persona”.
E lo era, lo era davvero.
Dai primi passi in politica alla Segreteria del PCI
Berlinguer aderì al Partito Comunista fin dal 1943, in piena guerra mondiale, quando ancora il partito era messo al bando dal regime fascista e quindi si era costretti a fare politica clandestinamente. Dopo aver partecipato attivamente alla liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, nel 1948 iniziò la sua carriera all’interno del PCI guidato all’epoca da Palmiro Togliatti, e nel 1949, a soli ventisette anni, divenne segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana.
Il 1953 fu un anno di svolta: morì Stalin, e con lui l’idea dell’Unione Sovietica come potenza indiscussa a guida dei comunisti nel mondo. Da quel momento, seppur non condannando mai il risvolto violento e tragico che ebbe la dittatura di Stalin all’interno dell’URSS, il PCI di Togliatti fu in grado di assumere maggiore autonomia su molti temi e scelte interne al partito.
Non deve destare sorpresa, quindi, il fatto che nel 1956 Berlinguer, posto a capo della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica – raduno di giovani comunisti da tutto il mondo con sede a Budapest –, si dichiarò contro l’utilizzo dei carri armati sovietici durante l’invasione dell’Ungheria per fermare la Primavera di Budapest; posizione che destò non poche polemiche tra Italia e URSS, compromettendo in parte i rapporti tra i due partiti.
Nel 1964 morì Palmiro Togliatti, e la segreteria del Partito passò a Luigi Longo: Berlinguer entrò a pieno titolo nella Direzione del Partito, occupandosi di questioni organizzative. Alle elezioni amministrative del ’68 divenne capolista della regione Lazio, e col peggioramento delle condizioni di salute di Longo iniziò a profilarsi gradualmente la sua ascesa a leader del partito, che si concretizzò pochi anni dopo, nel 1972.
Lungimiranza politica: eurocomunismo e compromesso storico
Il suo ingresso nella Direzione del PCI segnò una svolta fondamentale nella storia del partito: furono molteplici, in quegli anni, le sue prese di posizione contro le scelte politiche sovietiche. In molte occasioni Berlinguer volle ribadire la distanza tra il Partito Comunista Italiano e quello sovietico, rimarcando l’importanza della “via italiana al socialismo” teorizzata da Togliatti, secondo la quale l’Italia doveva giungere da sola ad un approdo socialista all’interno dell’alveo democratico, senza che ci fossero ingerenze esterne.
Furono queste le premesse per il progetto politico che si definì “eurocomunismo“: un comunismo totalmente distaccato da quello di Mosca, che avrebbe visto i partiti comunisti europei operare in totale sinergia.
La lungimiranza delle idee politiche di Berlinguer emerse inoltre nell’idea, già anticipata da Togliatti, che la democrazia italiana, che all’epoca esisteva da poco meno di trent’anni, fosse debole e fragile, e che fosse quindi necessaria un’unione dei tre grandi partiti popolari dell’Italia democratica – quello comunista, quello socialista e quello cattolico – per rappresentare la maggioranza del popolo italiano.
Si trattava di quello che venne poi definito “compromesso storico“: un tentativo di collaborazione con la Democrazia Cristiana per stabilizzare il paese, ancora scosso dalla notizia del colpo di stato in Chile per opera del generale Pinochet l’11 settembre ’73.
La prospettiva dell’eurocomunismo da una parte e del compromesso storico dall’altra, contribuirono ad un successo senza precedenti alle elezioni del 1976: il PCI ottenne il 34% e 12.6 milioni di elettori, contro il 38% della DC. Fu la percentuale più alta di sempre ottenuta dal Partito Comunista Italiano, e venne raggiunta da Berlinguer in soli quattro anni di leadership.
Voti in calo, poi la morte: una fine amara
Il governo formatosi dopo le elezioni del ’76 costò a Berlinguer e al suo partito un calo drastico di consensi. A capo del nuovo governo era infatti la DC, che aveva vinto le elezioni, sostenuta anche dal PC in una ossimorica “non sfiducia”.
Berlinguer venne quindi accusato di aver tradito i principi originari del compromesso storico e, complici gli atti terroristici delle Brigate Rosse tra cui il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, i consensi iniziarono a calare, relegando il Partito nuovamente all’opposizione.
Nonostante i voti in calo, la voce di Berlinguer non si spense, e il leader continuò a denunciare la corruzione della classe dirigente italiana aprendo una “questione etica” riguardante il ruolo dei politici, e lamentando inoltre un’influenza smisurata dei partiti all’interno delle pubbliche istituzioni italiane.
Il 7 giugno 1984, durante un comizio in piazza a Padova in prossimità delle elezioni europee, Berlinguer fu colpito da ictus, e, dopo giorni di coma, lo colse la morte l’11 giugno.
Fu il lutto di un intero paese. La caotica Roma si era come ammutolita, di fronte alla perdita di un così grande uomo. In quei giorni Roberto Benigni disse che era “bruciato il firmamento”. Non si trattava, infatti, di una perdita meramente politica, ma personale, poiché ciascun cittadino aveva interiorizzato la sua figura come degna di fiducia e vicinanza umana, a prescindere dal credo politico.
Berlinguer, ti vogliamo bene
Tanti, negli anni, hanno ricordato Enrico Berlinguer attraverso canzoni (come le già citate di Venditti e Gaber), interviste, film. Particolarmente emblematica la pellicola diretta da Giuseppe Bertolucci a cui partecipò anche Benigni, Berlinguer ti voglio bene, che molto dice riguardo il profondo affetto che univa il leader sardo al popolo tutto.
Quest’anno, a 40 anni dalla sua scomparsa, la Fondazione Enrico Berlinguer sta promuovendo mostre e iniziative per commemorarlo in tutta Italia, da Roma, a Bologna, a Sassari. L’11 giugno verrà inaugurata, al Museo Civico di Bologna, la mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer”.
Pochi giorni dopo la morte di Berlinguer, il 17 giugno, si sarebbero tenute le elezioni europee. Il Partito Comunista Italiano prese il 33.3% dei voti, divenendo, seppur solo per poco tempo, il primo partito in Italia per numero di voti, superando di qualche punto la Democrazia Cristiana.
Fu l’ultimo grande segno del serio impegno politico di Enrico Berlinguer, ed è proprio la devozione e la sacralità con cui egli portava avanti quell’impegno che dovrebbe farci da esempio e che invece oggi più che mai manca, guardando all’attuale classe politica italiana.
In fondo, alla luce di tutto, possiamo dirlo anche noi. Berlinguer, ti vogliamo bene.
Michela Di Pasquale