Oggi finalmente Brexit: ha ancora senso un’unione di stati europei?

Sono passati 3 anni dal celebre referendum che nel Regno Unito ha portato alla vittoria i “leavers”. Da allora non si è parlato di molto altro in Europa. Questo perché la Brexit è un tema grosso: la prima volta che una stella cade da quella bandiera faticosamente messa in piedi nell’ultimo mezzo secolo.

Oggi finalmente la Brexit diventa realtà dopo anni di trattative fallimentari, crisi all’interno dei governi britannici e dibattiti vorticosi nelle istituzioni europee. A partire dal primo febbraio Londra non avrà più voce in capitolo sulle scelte politiche ed economiche dell’UE, verrà di fatto trattata come un membro senza diritto di intervento. Scade il mandato dei parlamentari inglesi, quelli che entrati a Bruxelles scelsero di girarsi di spalle al suono dell’inno.

L’effetto immediato della Brexit sarà quello di modificare parzialmente gli equilibri politici all’interno del Parlamento europeo, con nuovi deputati di altri paesi che andranno a riempire le sedie lasciate vuote dall’UK.

Si apre ora un periodo di transizione fino al 31 dicembre, salvo che Boris Johnson non chieda una proroga. Gli accordi da prendere sono moltissimi e alcuni temi estremamente delicati. Secondo Ursula Von der Leyen arrivare a tutte le firme necessarie entro 12 mesi è impossibile, ma il premier inglese ha ovviamente promesso ai suoi elettori di non prolungare le trattative.




Mentre oggi finalmente la Brexit diventa realtà c’è da interrogarsi non solo sul futuro degli inglesi, ma su quello degli altri cittadini europei. Andrei oltre le speculazioni sui trattati commerciali e dell’immigrazione che verranno firmati nei prossimi mesi, per riflettere piuttosto sul significato politico della Brexit.

Ha ancora senso un’unione degli stati europei?

Certamente l’UE ha un ruolo economicamente fondamentale per gli stati membri. Permette la comunicazione tra le piccole potenze del vecchio continente, con l’obiettivo di difenderle dall’essere ridotte a mere colonie commerciali di USA e Cina.

Tuttavia è necessario ricordare, in questa giornata di Brexit ancor di più, la spinta all’integrazione politica che fu fondamento dell’Unione. L’obiettivo di suscitare un autentico senso di appartenza nei cittadini, riuscendo a raggiungere la piena integrazione tra gli stati, si è sempre rivelato difficile.

Si dice che la nostra cultura sia comune ma in fondo coordinare punti di vista e valori è sembrato più volte estremamente complesso – e la Brexit ne è un buon esempio. D’altra parte è infatti nostro dovere ricordare la storia degli stati-nazione che si sono fatti la guerra per anni distruggendo sè stessi e l’intero globo. L’Europa geografica non si è mai contraddistinta per l’andare d’accordo.

Eppure l’idea di unirsi è piuttosto antica. Gli europeisti c’erano già nell’800, tra le tante esperienze possiamo ricordare la Giovine Europa di Mazzini o l’idea di una confederazione europea di Carlo Cattaneo – per citare due esempi nostrani. La volontà di un’integrazione politica deriva proprio dalla storia comune di conflitti e tensioni, proponendosi come soluzione.

La strada verso l’unione è iniziata nei primissimi anni 50 del secolo scorso e da allora non si è smesso di parlare di progetti. Da decenni ci interroghiamo circa la possiblità di gestire un neonato spazio politico con un forte potenziale. Ci siamo chiesti se fosse meglio una parlamentarizzazione o una presidenzializzazione delle istituzioni, cosa ci contraddistinguesse in quanto cittadini europei ed interrogati sul significato di una democrazia sovranazionale.

Il punto è che oggi finalmente la Brexit avverrà e costituirà uno storico precedente. Tutti guarderanno ai dati britannici per vedere se si è davvero capaci di sopravvivere anche da soli. Alcuni ne evidenzieranno lati positivi, altri invece cercheranno di convincerci che gli inglesi si sono suicidati. Pochi terranno contro delle significative differenze economiche e istituzionali tra un paese e l’altro in questa fase.

Questa uscita come quelle che verranno in futuro di fatto è la più palese dimostrazione che non esiste un comune spazio politico europeo. Fino ad ora si è lavorato su economia, parametri e regole, progressivamente abbandonando quell’iniziale progetto di integrazione che doveva portare gli stati-nazione a convergere su una certa idea di società.

I sovranismi crescono ovunque in mancanza di una vera e propria entità politica europea che sia in grado di fronteggiarli. Senza un’integrazione effettiva e con l’immagine sempre più diffusa di una UE bacchettona, il sistema collasserà dall’interno. Lo abbiamo visto storicamente negli imperi che si sono sviluppati ai nostri fianchi e che non hanno saputo gestire complessità e diversità, incapaci di trovare un denominatore unico.

 

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