L’oggettivazione della donna, la cultura dell’apparenza tra presente e passato

oggettivazione della donna

Corpo e anima uno dei binomi più celebri di tutti i tempi, espressione stessa dell’umana essenza. Sulla linea del tempo tutto cambia per restare com’era, dove il corpo da involucro è da sempre non solo biglietto da visita della persona ma abbraccio mortale alla sua sostanza. Il processo di de soggettivazione del singolo coinvolge il genere umano nella sua interezza; ma affligge particolarmente quello femminile. L’oggettivazione della donna è uno dei tanti tasselli del sessismo e della misoginia, ultimo per considerazione ma non per importanza.

L’origine dell’oggettivazione della donna

Che il corpo sia il primo pezzo di sé che ciascuno da al mondo è evidente, spesso però è anche l’unico che il mondo sembra essere disposto ad accogliere. Oggettivare nella sua definizione primaria significa sottrarre al singolo quelle peculiari caratteristiche che lo differenziano da un suppellettile per la casa, che danno alle sue umane fattezze vita.

Del fenomeno si occupava già Kant sul finire del ‘700 con riferimento ad entrambi i sessi. Del resto il filosofo non è proprio passato alla storia per la sua avanguardista considerazione del genere femminile, che vedeva come solo strumento di riproduzione, espressione proprio di quell’oggettivazione che tanto criticava. Bisognerà attendere il 900 perché la questione possa assumere contorni più definiti, rivelandosi per quello per cui oggi è nota: un problema delle donne.

Sarà Simone De Beauvoir, una delle più importanti filosofe femministe dell’età moderna, ad attribuirgli quelle forme di un corpo femminile che gli erano state negate dall’emerito pensatore tedesco. L’oggettivazione della donna diventerà un tema caldo e centrale grazie a intellettuali dal pensiero sottile e dallo spirito solerte.

Cos’è l’oggettivazione della donna

Ci si potrebbe chiedere perché soggetti a divenire oggetti siano per lo più le donne. Perché dalle epoche più lontane gli uomini abbiano sentito l’esigenza di ripensare il genere femminile sotto la personalissima lente del proprio telescopio, senza curarsi di ciò che potesse davvero volere o essere. Il risultato è che le donne sono state rese incapaci di pensare ma sopra tutto di pensarsi per secoli, salve rare e preziose eccezioni. Succubi inconsapevoli di schemi e visioni antropocentriche che di femminile avevano solo le sue ancelle.

Non è la struttura del fisico ma la conformazione della mente a fare paura, la conoscenza vessillo di pochi non contempla tra i suoi discepoli le donne. Ed ecco che viene creato l’inganno del corpo, un diversivo efficace agli strumenti del sapere. Dai corsetti attillati ai tacchi vertiginosi ogni epoca crea dogmi dell’apparenza, reti dell’anima.

Modelli e prototipi che si susseguono cambiando per restare nel nocciolo sempre espressione di uomini che disegnano le donne; le quali a loro volta si vedono attraverso il desiderio dei loro stessi autori. L’oggettivazione è un fenomeno che riduce il genere femminile a mezzo di soddisfazione del piacere maschile. Dove la fisicità di una donna è primaria esigenza e unica preoccupazione.

Il mondo del marketing moderno ha sfruttato sapientemente queste sovrastrutture in un mercato internazionale impostato sulle coordinate dell’organismo femminile. Gli spot pubblicitari decantano una ricerca spasmodica di illusoria perfezione, fatta di fisici asciutti e forme scolpite. La verità è che tutto questo ha ben poco a che fare con la salute e più con l’ossessivo tentativo di raggiungere un prototipo che odora di imposizione più che di scelta.




Conseguenze dell’oggettivazione della donna

Ed ecco che i prodotti di bellezza cercano di ringiovanire per non invecchiare; dimagrire per non ingrassare e cambiare per seppellire i mille coriandoli che rendono ciascuna semplicemente se stessa. Nulla di tutto questo ha a che fare con le donne. Le quali sin dalla tenera età sono chiamate ad offrire la migliore versione fisica possibile di sé, anche a costo di snaturarsi. Il corpo che tanto le caratterizza finisce per non appartenergli neanche più. L’imperfezione crea disagio e così ci si congiunge con la compagna dell’esistenza: la ricerca smaniosa di una perfezione senza fine ma anche senza traguardo. 

Dal make up alle ultime tendenze dell’armocromia tutto coinvolge le donne in una rete tessuta ad arte che le vede come oggetti finalizzate a provocare piacere come unica meta del viaggio vita. Il passo con l’auto oggettivazione è breve. Sono proprio loro a cadere vittime dell’inganno e finire per percepirsi alla sola luce del corpo, non più tempio ma prigione della libera mente. 

Effetti sociali del fenomeno

Le conseguenze pratiche sono evidenti nella società, costruita sull’oggettivazione come principio fondamentale. Di cui sono tristemente noti i figli legittimi: il catcalling e le molestie. Disagio delle donne ma problema degli uomini assuefatti da un mondo di cui sono da sempre dominatori, scopritori e artigiani.

Virginia Woolf diceva:” le donne hanno avuto per secoli la funzione di specchi, dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo“. Le 21 ere trascorse di storia non sono che il susseguirsi di eventi firmati in calce da esponenti maschili. Dall’America alla luna il mondo è stato fino ad ora un teatro con pochi ruoli femminili sul copione.  Sciogliere le corde del corpo consente di aprire le porte della mente, per non essere sostituibili copie ma originali archetipe. Le donne meritano di essere i soggetti diretti non catarifrangenti; di riprendersi gli spazi preclusi e costruire le proprie idee in una visione di sé inclusiva e piena, fatta delle morbide curve del corpo e delle intense scintille della mente. 

Sofia Margiotta

 

 

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