Oggettificazione delle donne nere: il caso di Sarah Baartman

oggettificazione delle donne: il caso di Sarah Saartman

Sarah Saartman

La figura di Sarah Baartman, per lungo tempo rimasta sepolta dalla storia, può essere considerata l’emblema dello sfruttamento coloniale e dell’oggettificazione delle donne nere. Il corpo di Sarah è stato esaminato ed abusato in maniera disumana durante tutto l’arco della sua vita.

La storia di Sarah Baartman

Sarah Baartman nacque nel 1789 in sud Africa. Faceva parte dell’etnia Khoikhoi, detti anche “Khoi”. Quando Sarah aveva sedici anni, i coloni olandesi uccisero suo marito. William Dunlop, un medico di bordo, le promise un lavoro come domestica in Inghilterra. Poco dopo venne invece venduta e divenne un’attrazione da circo.

Conosciuta come “la Venere Ottentotta”, Baartman  attirò l’attenzione a causa di una condizione fisica naturale chiamata steatopigia, ovvero la preponderanza di glutei, cosce e gambe. Queste fattezze fisiche risultavano ancor più evidenti sul suo metro e trenta di statura. I colonialisti bianchi capirono subito di poterla sfruttare per quelli che in Europa erano definiti  i “freak show”, spettacoli circensi in cui venivano esibite anche persone con peculiarità fisiche particolari.




La ragazza possedeva però un’altra caratteristica che incuriosiva, ovvero la macroninfia, lo sviluppo rilevante delle labbra della sua vulva, che sporgevano per 8 centimetri circa. Indossava infatti un piccolo indumento, utile a coprire quella parte durante le sue esibizioni. Per questo motivo veniva anche chiamata in modo dispregiativo “grembiule ottentotto”.

Prima e dopo il processo

Il suo primo spettacolo, a Londra, avvenne nella sala egiziana di Piccadilly Circus il 24 novembre 1810, e destò particolare scandalo perché solo pochi anni prima, nel 1807, era stato approvato lo Slave Trade Act che aveva reso illegale la tratta degli schiavi. L’esibizione finì quindi al tribunale, dove i giudici indagarono se Sarah Baartman si fosse esibita volontariamente o se fosse stata obbligata. Il processo durò ore e i magistrati alla fine la definirono una donna libera che si esibiva per sua volontà.

Dopo questo processo le esibizioni di Saartjie subirono un cambiamento. Se prima era solita mostrarsi completamente nuda, con oggetti e segni tribali che assecondavano la richiesta di primitività, dopo il caso giudiziario cominciò a coprirsi di più e ad aggiungere ornamenti, pelle di animale e altri dettagli stereotipati associati alla figura della donna, in modo da dare meno scandalo. Ma questo non impedì la sua oggettificazione e la pratica di abusi su di lei. Il più delle volte senza alcun indumento addosso, Sarah era costretta a ballare e cantare davanti a folle di spettatori. Durante le mostre veniva rinchiusa in una gabbia sul palco mentre veniva stuzzicata o palpata. Sarah fu abusata sessualmente da uomini disposti a pagare per il suo corpo.

Nel 1811 fu battezzata nella cattedrale di Manchester e si sposò con un uomo la cui identità è ignota. Il processo in tribunale, inoltre, aumentò ulteriormente la sua popolarità, tanto che Baartman fu esposta in una fiera a Limerick, in Irlanda, nel 1812, e poi nel Suffolk. Nel 1814 giunse in Francia sotto la protezione di un altro uomo, Henry Taylor, che la vendette ad un addestratore di animali, un certo Réaux. Questo la espose in condizioni inumane al Palais Royal di Parigi per circa 15 mesi. A Parigi Baartman venne trattata come una schiava, tanto che più di una cronaca dell’epoca racconta che fosse portata in giro con un guinzaglio.

Sarah Baartman come fenomeno scientifico

Lì Sarah Baartman divenne un vero e proprio fenomeno scientifico, studiata da diversi naturalisti francesi, fra cui Georges Cuvier, capo custode del giardino zoologico del Muséum national d’Histoire naturelle.  Gli studiosi la obbligavano a spogliarsi e a farsi ritrarre nuda per scopi scientifici. Uno di questi ritratti finì nel secondo volume della Histoire naturelle des mammifères, in cui Saartjie è l’unica persona umana nel repertorio sulle specie animali.

Negli studi che Cuvier fece di lei si evince che nonostante fosse un soggetto ritenuto intelligente, dall’ottima memoria, in grado di parlare olandese, inglese e un minimo di francese, e di suonare l’arpa, c’erano in lei degli “evidenti tratti scimmieschi”. Cuvier era infatti un sostenitore delle teorie sull’evoluzione razziale messe in atto appunto con il razzismo scientifico. Riteneva che avesse orecchie simili a quelle di un orango.  Saartije era quindi una specie diversa che univa gli aspetti dell’animalità, cioè tratti scimmieschi a quelli umani. Per Cuvier, però, quella stessa ragazza che definiva scimmiesca era anche in un certo senso attraente. Nei suoi scritti affermò che era graziosa e aveva posture piacevoli. C’era una mescolanza, quindi, tra fascinazione e repulsione. 

Alla sua morte, avvenuta il 29 dicembre del 1815, a soli 26 anni, Cuvier riesce ad ottenere il corpo della ragazza, lo disseziona e lo studia. Al termine degli esperimenti il cervello, i suoi genitali e lo scheletro saranno esposti fino alla metà degli anni settanta del Novecento al Musèe de l’Homme di Parigi.

L’eredità di Sarah e l’oggettificazione delle donne nere

Oggi le spoglie di Sarah Baartman si trovano  nella valle del fiume Gamtoos, ed è diventata un simbolo dell’oggettificazione delle donne nere. La sua storia fu resa nota con l’uscita del libro di Stephen Jay Gould The Hottentot Venus, e anche grazie alla richiesta di Nelson Mandela, accolta soltanto nel 2002, di riportare in patria i suoi resti.

L’immagine di Sarah è radicata in un’eredità caratterizzata dalla schiavitù e dell’oggettificazione delle donne nere. Prima oggetto di spettacolo, poi oggetto sessuale, e infine oggetto di studio. Per sempre vittima dello sguardo bianco che feticizzava il corpo di Baartman come animalesco e apertamente sessuale, ma che lo oggettificava anche a elemento di studio. Era lo stesso che promulgava lo stereotipo secondo cui le donne nere erano sessualmente promiscue, dissolute e ipersessuali. Una storia, quella di Sarah, conclusasi con l’annullamento dell’identità della persona, oppressa anche dopo la morte dagli sguardi del pubblico.

Fiamma Franchi

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