L’ offensiva dell’esercito israeliano a Jenin in Cisgiordania ha avuto inizio nella notte tra domenica e lunedì. L’operazione militare è stata realizzata per via aerea, con bombardamenti tramite droni e via terra, tramite mezzi corazzati. I soldati israeliani coinvolti nell’operazione sembrano essere tra i 1000 ed i 2000. L’offensiva, che ha coinvolto l’intera città, ha il suo fulcro nel campo profughi di Jenin. Ad oggi il bilancio di vittime palestinesi è salito a 10, i feriti sono più di 100, di cui 20 gravi.
Offensiva dell’esercito israeliano a Jenin
L’offensiva, iniziata nella notte tra domenica e lunedì poco dopo la mezzanotte dal posto di blocco di Al-Jalama nella città di Jenin, territorio simbolo della resistenza palestinese da quando Israele lo occupò nella guerra dei sei giorni del 1967, è considerata da molti osservatori come la peggiore in questa zona a partire dalla seconda Intifada ( la cosiddetta intifada di “Al Aqsa”). Ad oggi, dopo soli due giorni, sono già 10 le vittime palestinesi, oltre 100 i feriti, di cui 20 gravi, svariate persone sono state arrestate e numerose case perquisite, decine di tiratori scelti sono posizionati sui tetti delle case. Inoltre, le ruspe militari stanno distruggendo le strade che conducono al campo profughi, in modo tale da rendere più difficile l’arrivo dei mezzi di soccorso. La Mezzaluna Rossa si sta attivando per coordinare uno sgombero delle famiglie palestinesi che verranno condotte in zone agricole vicine a Jenin.
Oltre che l’ampiezza dell’azione e il numero di soldati impiegati ( si stima si tratti di una brigata di almeno 1000/2000 soldati), a far pensare alla violenza con cui fu repressa la seconda intifada è anche la dinamica dell’attacco israeliano; infatti, anche in quell’occasione l’esercito israeliano si era servito in primis di veicoli corazzati. Anche gli attacchi con droni ( ben 15), che sono quelli che hanno causato i danni più grandi, non venivano usati per operazioni in Cisgiordania ormai da anni.
L’offensiva di questi giorni non è un caso isolato: già la scorsa settimana l’esercito israeliano, sempre vicino al campo profughi di Jenin, aveva usato elicotteri militari per sparare contro i combattenti palestinesi.
Le dichiarazioni di Israele e l’ appello di Abu Mazen
Il governo israeliano di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu ha parlato dell’operazione definendola come «un’azione su larga scala per contrastare il terrorismo a Jenin». Nel campo profughi di Jenin, dove abitano circa 17 mila persone in meno di mezzo chilometro quadrato, pare trovino rifugio centinaia di militanti di gruppi armati palestinesi tra cui il Jihad Islamico e Hamas. Per questo motivo, Israele ha giustificato l’operazione militare definendo il campo profughi come «quartier generale militare» e dichiarando di aver poi compiuto bombardamenti mirati su obiettivi precisi all’interno del campo. Ben diversa è la versione dei residenti locali e dei testimoni che descrivono l’operazione come completamente indiscriminata, «una guerra vera». Il The Guardian riporta le parole di un medico dell’ ospedale governativo di jenin: «Siamo il centro medico più vicino al campo, a soli 200 metri dalla strada. Ma i soldati non hanno lasciato passare alcune ambulanze. Sappiamo che ci sono molti altri feriti all’interno che non possiamo raggiungere».
Nel frattempo, i gruppi armati palestinesi fanno sapere che resisteranno all’offensiva dell’esercito israeliano a Jenin; pare che i membri locali del gruppo del Jihad Islamico, conosciuti come Battaglione Jenin, abbiano già attaccato numerosi mezzi corazzati israeliani con armi esplosive.
Nabil Abu Rudeinah, Il portavoce del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, ha dichiarato: «ciò che il governo di occupazione israeliano sta facendo a Jenin è un nuovo crimine di guerra contro il nostro popolo indifeso». Nabil Abu Rudeinah ha poi invitato «la comunità internazionale a rompere il suo vergognoso silenzio e ad agire seriamente per costringere Israele a fermare la sua aggressione».
La tensione era già risalita nel 2022
Molti commentatori evidenziano come l’offensiva dell’esercito israeliano a Jenin rappresenti l’apice di una tensione tra Israele e Palestina che, dopo la terza intifada, aveva visto un nuovo punto di alta tensione l’anno scorso, a seguito dell’attacco armato contro la Guardia di frontiera israeliana a uno degli accessi della Spianata delle Moschee da parte di un seguace di Hamas. Già allora, a seguito di questo evento e ad i tentativi da parte di Israele di espellere le famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere occupato di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est, la tensione a Jenin era salita. La reazione israeliana era stata quella di aumentare le operazioni e gli arresti nella città stessa, lanciando poi un’incursione su larga scala nel campo profughi, culminata in due ore di durissimi scontri di piazza che avevano causato la morte di un combattente palestinese e il ferimento di altri 13.
L’operazione era pianificata
Il manifesto riporta le parole di Ron Ben Yishai, il commentatore militare del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth che ha riferito che l’attacco alla città palestinese era stato pianificato ben un anno fa, raccontando anche che i combattenti di Jenin si erano preparati per l’arrivo di forze corazzate israeliane, ma sono stati sorpresi dai raid aerei.
Dalla stampa israeliana emerge anche un altro elemento fondamentale che dimostra che questo attacco non è affatto una sorpresa, nemmeno per gli attori internazionali: A quanto pare Israele, pur non fornendo a Washington date esatte o dettagli sull’operazione, aveva informato gli Stati Uniti che intendeva lanciare un’operazione a Jenin nel prossimo futuro.
Prospettive per il futuro
Come abbiamo mostrato, si può dire che ormai è più di un anno che la tensione in Cisgiordania sta raggiungendo livelli critici. A dimostrazione di ciò c’è il macabro dato delle morti dall’inizio del 2023 ad oggi in questo territorio: si parla di almeno 140 palestinesi uccisi. Per molti gli eventi dell’ultimo anno sono talmente gravi da far pensare che si sia aperto un nuovo capitolo nel conflitto israelo-palestinese; in particolare, non è difficile immaginare che gli eventi di questi giorni a Jenin possano avere ripercussioni nella striscia di Gaza, innalzando ulteriormente il livello degli scontri. Cadono nel vuoto gli appelli dell’Autorità Nazionale Palestinese alla comunità internazionale a prendere provvedimenti contro le aggressioni israeliane se si considera che paesi come gli Stati Uniti agiscono avallando le azioni del governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu e fornendo armi ad Israele.
Virginia Miranda
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