“Odio gli uomini”: provocazione di una femminista arrabbiata

odio gli uomini garzanti ultima voce«Odio gli uomini». A quale donna non è mai capitato di pensare o pronunciare questa frase? Magari scherzando, tra amiche che annuiscono empaticamente in solidale approvazione. Ma se provassimo a prendere sul serio questo risentimento verso gli uomini? Se provassimo a capire da dove nasce e perché ha senso parlarne? È quello che ha fatto la sociologa e blogger francese Pauline Harmange nel suo libro che si intitola proprio Odio gli uomini (Garzanti, 2021). Un breve saggio che ha suscitato grandi polemiche in Francia e all’estero.

Cosa vuol dire odiare gli uomini?

L’intento provocatorio di Harmange emerge molto chiaramente fin dalle prime pagine. Raccontandoci quello che accomuna il suo vissuto personale a quello di milioni di altre donne, spiega che «l’accusa di misandria è un meccanismo di silenziamento». Gli uomini che vogliono sottrarsi al confronto ribaltano (neanche troppo sottilmente) le istanze paritarie e l’accusa verso il privilegio che detengono in un generico odio verso gli uomini. Ebbene: sì! Odio gli uomini, ammette Harmange.

Se per odio si intende la messa in discussione del loro potere, la negazione del modello patriarcale costruito e perpetuato nei secoli e la rabbia verso le ingiustizie, le violenze, gli omicidi e le discriminazioni di genere perché le donne non avrebbero tutto il diritto di odiare gli uomini?




Misandria vs Misoginia

Harmange riflette sulla misandria come reazione giustificata e come conseguenza inevitabile della misoginia radicata e interiorizzata nella società. Questo punto va sottolineato perché il rischio di percepire l’odio per le donne e l’odio per gli uomini come due facce della stessa medaglia è più che concreto. Ma «la misandria e la misoginia non si possono comparare per il semplice motivo che la prima esiste solo in reazione alla seconda». Non può sussistere un parallelismo tra l’odio dell’oppresso e l’odio dell’oppressore: l’odio misogino fa delle vittime tutti i giorni (che Harmange non dimentica di citare attraverso dati e statistiche). L’odio misandrico, all’opposto, si ribella a questa violenza. Il suo scopo non è, come temono molti uomini, invertire i ruoli tra vittima e carnefice, ma rimettere in discussione un modello di potere che esclude e opprime più della metà degli esseri umani.

Polemiche e censura in Francia

Di fronte a un libro come questo, che si pone come una provocazione, abbiamo tre alternative. Ignorarlo, condannarlo, oppure leggerlo. Possibilmente facendo uno sforzo per rifletterci sopra. Ralph Zurmély, funzionario del ministero delle pari opportunità francese, ha scelto la seconda possibilità. A quanto pare senza nemmeno prendersi il disturbo di leggere il libro. Il titolo è bastato a farlo infuriare e a minacciare il piccolo editore Monstrograph per fargli ritirare questo testo che “incita all’odio di genere”.

L’invettiva del funzionario ha provocato un effetto opposto a quanto sperato. Per nulla intimidita, la casa editrice non si è limitata alle 450 copie inizialmente previste e ha continuato a stamparne fino a venderne 2.500 in due settimane. Numero impressionante per l’opera prima di una venticinquenne sconosciuta. Odio gli uomini (pubblicato ora dalla prestigiosa Seuil) è diventato così il caso letterario che ha acceso il dibattito in tutta la Francia e ha travalicato i confini per essere tradotto in 17 lingue. Nel frattempo il ministero delle pari opportunità si è dissociato dall’azione di “iniziativa personale” del funzionario Zurmély che, su sua richiesta, è stato assegnato ad un altro incarico.

Riprendersi spazio

Chiarito che l’intento di Harmange non è una chiamata alle armi per il linciaggio sommario del genere maschile, possiamo concentrarci sulla tesi e sulla proposta dell’autrice. Sebbene non si tratti di un messaggio di particolare originalità, la sociologa francese tocca punti importanti e rinnova una riflessione che ha le sue fondamenta nel femminismo della seconda ondata e nella pratica del separatismo.

Negli ultimi anni la teoria femminista ha trovato la sua declinazione più sostenuta nell’intersezionalismo e nella ricerca di alleanze tra le molteplici oppressioni. Tuttavia, secondo Harmange, «siamo in tante a pensare che gli uomini non possano essere femministi e che non debbano appropriarsi di un termine coniato per le oppresse». Costrette per secoli ad uniformarsi al giudizio e all’approvazione maschile, è giunto il momento di liberarsi e costruire spazi dove l’autodeterminazione sia possibile. Anche al prezzo di escludere gli uomini da questo percorso di liberazione.

È una posizione per certi versi discutibile, perché il patriarcato opprime e condiziona anche il genere maschile, seppur in misura nettamente minore. Ma questa è proprio la ricchezza e la complessità del femminismo (o meglio, dei femminismi), che permette di riflettere e rinegoziare continuamente nuove istanze e nuove pratiche senza porsi dei dogmi inviolabili.

Dalla rabbia alla sorellanza

Un ulteriore spunto di riflessione che si può ricavare da Odio gli uomini è l’importanza del sentimento della rabbia. Un sentimento che, come abbiamo visto, non è solo legittimo ma può anche essere proficuo. La rabbia delle donne, secondo Harmange, è stato il motore più potente per portare avanti le rivoluzioni e le conquiste più importanti del femminismo. Ma si tratta di un’operazione in divenire. Nulla è più banale della constatazione che la parità di genere non è ancora realizzata. Ed è per questo che alimentare l’opposizione al sistema oppressivo e normativo ancora vigente significa mantenere accesa la speranza che un giorno queste battaglie non avranno più ragione d’essere.

Odiare gli uomini e tutto ciò che rappresentano è il nostro diritto più essenziale. Ed è anche una festa […] io credo che l’odio per gli uomini spalanchi le porte all’amore per le donne (e per noi stesse) in tutte le sue forme. E che abbiamo bisogno di questo amore- di questa sorellanza- per liberarci.

Il testo di Pauline Harmange è un invito alle donne a prendere coscienza del fatto che possono bastare a loro stesse. Nessuna ha bisogno di costruirsi replicando lo sguardo maschile e assolvendo agli obblighi e alle mansioni che ci si aspetta da lei. E nessuna deve piegarsi a servire gli interessi di chi la umilia, la stupra o semplicemente la ignora. Nella sorellanza si può costruire lo spazio per una comprensione di se stesse e delle altre in cui darsi valore e solidarietà senza pretendere nulla in cambio. Una pratica che Harmange sperimenta tutti i giorni come attivista in associazioni e in centri antiviolenza, che pone al centro la priorità di «garantire una presenza forte alle donne» e di fare della sorellanza la propria bussola.

 

Giulia Della Michelina

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