Di Adriano Ercolani
Circa due settimane fa, Cathy La Torre di Wild Side e Maura Gancitano di Tlon hanno lanciato la campagna #odiareticosta, volta ad arginare la crescente ondata di odio in rete.
Chiunque lo desideri potrà d’ora in poi segnalare commenti di odio o minaccia alla mail [email protected]: un team formato da avvocati, filosofi, comunicatori, investigatori privati e informatici forensi offrirà orientamento e aiuto alle vittime di questo preoccupante fenomeno.
Non parliamo di opinioni espresse in maniera accesa, parliamo di auguri o minacce di stupro o di morte. Spesso replicate in migliaia di commenti verso le stesse persone (quasi sempre donne).
L’intento dell’iniziativa #odiareticosta era chiaro fin dall’inizio, nelle parole con cui La Torre ha lanciato l’iniziativa sulla sua pagina Facebook:
“Perché se il diritto di critica è sacro e inviolabile, se la libertà di opinione è sacra e inviolabile, se la libertà di dissenso, anche aspro, duro, netto, schietto, è un diritto sacro e inviolabile, la diffamazione no, l’ingiuria no, la calunnia no, l’offesa no, la minaccia no.”.
Facile da capire, no?
L’iniziativa solo nei primi giorni ha raccolto più di ventimila segnalazioni di commenti, ha ottenuto importanti adesioni e, come logico, ha destato piccate e prevedibili reazioni.
Il punto è che tali reazioni non sono pervenute solo dall’estrema destra, dove i soliti, divertentissimi appelli alla “libertà di espressione” (da parte di chi ha nostalgia per regimi liberticidi e lavora attivamente al loro ritorno) seguono il copione stanco della propaganda dell’alt-right (“Ah, allora siete voi i veri fascisti!”, con un livello argomentazione inferiore a quello di “specchio riflesso”); il dato triste è che in questo vano cortocircuito argomentativo sono caduti anche supposti “liberali” e “progressisti”, accecati dal culto di una frase che Voltaire non ha mai proferito (“Non condivido la tua opinione darei la mia vita affinché tu la possa esprimere”).
Innanzitutto, dobbiamo affrontare il vero problema della classe intellettuale italiana: la comprensione del testo.
Per ovviare a questa grave piaga che affligge numerosi opinionisti nostrani, Michela Murgia e Cathy La Torre hanno provato con i “disegnini”, riportando screenshot di commenti, anche accesi, che sono esempi di libera espressione e altri da annoverare tra le semplici manifestazioni di odio
Qui bisogna distinguere, evidentemente, tra malafede e difficoltà di comprendonio.
Come ha pazientemente spiegato Maura Gancitano, in una diretta su Facebook stamane, #odiareticosta non è un’iniziativa né di sinistra, né giustizialista: non si tratta di creare una “polizia di Facebook”, né di “reprimere la libertà di espressione”; qui si tratta di creare una nuova atmosfera sui social network, di creare una nuova educazione digitale, di creare una cultura fondata sul confronto, anche acceso, ma nei limiti minimi del rispetto della persona.
Non è un’iniziativa legata a una parte politica: il fatto che finora siano arrivate adesioni tendenzialmente solo da sinistra, testimonia solo che la propaganda populista è riuscita a far passare concetti come il rispetto e l’educazione come “paranoie dei radical chic”.
Non si tratta di punti di vista, ma delle basi del vivere sociale.
Sarebbe auspicabile che non solo Michela Murgia o il Partito Democratico, ma anche figure come Virginia Raggi, Mara Carfagna e Giorgia Meloni (vittime di vergognosi attacchi in rete) aderissero.
Questa campagna è anche in loro difesa, come di qualsiasi persona, di qualsiasi genere o orientamento politico, sia vittima di odio in rete.
Quindi sgombriamo il campo da una serie di equivoci, come quelli in cui cade Riccardo Dal Ferro in un suo articolo pubblicato su Il Foglio, in cui accusa la campagna #odiareticosta di voler reprimere le emozioni, asserendo che “in democrazia si sanzionano le azioni, non le parole, per fortuna”.
Mi spiace contraddire l’autore del bel libro Elogio dell’Idiozia (pubblicato proprio da Tlon, la casa editrice collegata al progetto omonimo che sostiene la campagna), ma la gran parte degli atti puniti dalla legge sono linguistici: diffamazione, calunnia, minaccia, falsa testimonianza, per alcuni aspetti ingiuria…
E cosa dire delle emozioni delle persone che sono vittime di queste campagne di odio? Come non vedere che non si tratta di spontanei sfoghi dell’uomo della strada, ma, spesso, di veri e propri attacchi di massa (tecnicamente detti shitstorm) volti a denigrare, umiliare e far tacere voci discordanti? Come non vedere che in questo momento storico, il clima d’odio è fomentato dalle figure al potere e che alimentarlo (in nome della libertà d’espressione) vuol dire fortificare un fronte che vuole reprimere la libertà d’espressione? Come non vedere che mentre si gioca a fare i Voltaire dietro una tastiera, vengono promulgate leggi che vanno oggettivamente vanno verso la repressione della libertà d’espressione? Come non considerare che se in questo momento storico si preferisce criticare chi prova ad arginare l’odio (dal nulla, creando una rete delle forze democratiche della società civile) rispetto a chi lo fomenta, si sta facendo una precisa scelta di campo? Come non evidenziare che l’autore della frase “Il sospetto è che la vera intenzione dietro a #odiareticosta sia quella di usare un messaggio confuso e sbagliato per accaparrarsi visibilità nell’epoca in cui la polarizzazione tra hate speech e libertà di espressione ha preso toni da far west”, sia caduto esattamente nella stessa trappola della polarizzazione che indica? Insomma, per farla breve, sottoscriviamo l’Elogio dell’Idiozia di Riccardo Dal Ferro, ma non in questo caso, perché se #odiareticosta sta dando così fastidio, vuol dire che ha colpito nel segno.
Quando arrivano insulti, offese o addirittura minacce cosa sarebbe meglio fare? Ovviamente la persona in questione ha usato un account falso. Grazie
Denunciare sempre! Possono usare account falsi, ma per fortuna esistono gli indirizzi IP che permettono di rintracciare il dispositivo utilizzato per vomitare odio.