Questa è la storia di Odessa, un’organizzazione di linee di fuga intricatissime e sotterranee che hanno permesso ad almeno 5000 nazisti di fuggire dalle loro responsabilità verso la fine della Seconda guerra mondiale, evitando il processo di Norimberga.
È il 10 agosto 1944, in una delle sale della storica Maison Rouge di Strasburgo, città di frontiera sotto il dominio tedesco, ci sono settantasette nazisti. Sono lì per un motivo preciso: sanno come finirà la guerra. Due giorni prima gli americani hanno liberato Le Mans. Una settimana prima, la Turchia ha sospeso tutti i rapporti con la Germania e i tedeschi sono sempre più con le spalle al muro. Gli Alleati avanzano sempre più. Non ci vuole un esperto di strategia militare per capire che le prospettive hitleriane non sono affatto rosee.
Non solo militari
Dicevamo, dunque, di questi settantasette nazisti: non sono solo ufficiali. Pare ci siano anche i portavoce di gerarchi come Bormann, il segretario personale di Hitler, e di Speer, il cosiddetto “architetto del diavolo”, uno dei massimi interpreti dell’urbanistica del Reich e ministro per gli armamenti. Nella stanza siedono anche degli industriali e dei banchieri tedeschi. La discussione è tesa: bisogna pensare al dopo, quando il nazismo sarà naufragato, in un modo o nell’altro. Se la fazione dei militari ha principalmente l’obiettivo della fuga, l’alta borghesia nazista è lì per capire come preservare il suo patrimonio, accumulato con le forniture belliche.
Il timore della condanna
Il timore di una pressoché certa condanna a morte per i primi e quello per l’esproprio di tutti i beni per i secondi li spinge a fare fronte comune. Si arriva presto a una soluzione condivisa, per un accordo a vantaggio di tutti. Semplice: gli imprenditori finanzieranno la fuga dei gerarchi e questi si impegneranno a custodire tutti i capitali trasferiti all’estero. I gerarchi, nei mesi successivi, quindi, iniziano una certosina operazione di movimentazione di capitali tedeschi in Paesi amici: sanno che, secondo l’accordo stretto alla Maison Rouge, gli industriali li ringrazieranno alla fine della guerra, nominandoli dirigenti tecnici nelle aziende traslocate in Svizzera, in Spagna, in Turchia e, soprattutto, in Argentina e Paraguay.
Almeno 750 imprese
La fioritura di società commerciali in questo periodo non è un caso. Secondo un rapporto del Dipartimento del Tesoro statunitense del 1946, furono 750 le imprese aperte tramite il fiume di denaro dell’imprenditoria nazista: 112 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 214 in Svizzera, 98 in Argentina e più di 200 distribuite in altre nazioni.
Basta un incontro?
Per fare tutto questo, non basta però un incontro nel salone di un albergo, in una calda mattinata d’agosto: è necessario mettere a punto una strategia precisa e soprattutto organizzata, sotterranea e discreta, che però, inevitabilmente, lascia qualche traccia. Su questo gli studiosi sono divisi: per alcuni tutto il sistema di fuga di persone e capitali fa capo a Odessa, un acronimo tedesco che starebbe per “Organizzazione degli ex membri delle SS”. Dell’esistenza di Odessa la letteratura ha iniziato a interessarsi negli anni Settanta, dopo la pubblicazione di Dossier Odessa, di Frederick Forsyth. Per altri esperti, invece, i canali di fuga verso l’America Latina e non solo non avrebbero fatto parte di un’unica rete ma di un complesso sistema di rigagnoli indipendenti.
La macchina di Odessa si muove
Secondo la tesi che sostiene l’esistenza di Odessa, in brevissimo tempo gli ufficiali nazisti riescono a procurarsi mansioni di facilitazione per le loro manovre: alcuni diventano anche autisti dei camion dell’esercito americano sulla tratta che porta a Salisburgo e riescono a nascondere sui loro veicoli i fuggitivi. Sulla tratta che collega Monaco all’Austria, ad esempio, si ipotizza che ci fossero dei “caselli” di Odessa ogni 50 km, presidiati dai membri dell’organizzazione.
Destinazione Svizzera
Da qui, molte SS in fuga sarebbero passate per raggiungere il lago di Costanza e la Svizzera, dove li avrebbero attesi i voli civili verso l’America Latina e il Medio Oriente. Altri avrebbero raggiunto i comuni altoatesini, come Termeno (più conosciuto per essere la patria del Gewurtztraminer): grazie allo status extraterritoriale decretato dagli Alleati per l’Alto Adige, sembra sia stato relativamente facile ottenere documenti falsi e lasciapassare.
Le vie dei ratti
Un altro nomignolo con cui sono note le operazioni di Odessa fa riferimento alle Rattenlinien, le “vie dei ratti”, ufficialmente conosciuta come “via dei Monasteri”. Proprio la sacralità e l’inviolabilità di questi luoghi, tra Austria e Italia, avrebbero consentito ai fuggiaschi di trovare riparo. Almeno fino a che Odessa non avesse trovato una sistemazione grazie ai contatti mantenuti con le ambasciate straniere. In varie città, erano infatti presenti “comitati di soccorso” di Odessa che, con il pretesto degli aiuti umanitari, raccoglievano fondi e contrabbandavano la corrispondenza.
Il ruolo della Chiesa cattolica
Per alcuni autori, il ruolo di alcuni esponenti della Chiesa cattolica fu strategico: secondo Simon Wiesenthal, molto spesso si trattava di un aiuto fornito “fraintendendo il concetto di carità cristiana”. In altri casi, l’apporto è di ben altra entità. È il caso del vescovo Alois Hudal, Rettore dell’Istituto Pontificio Santa Maria dell’Anima, con sede a Roma. Era, di fatto, l’uomo di fiducia di Hitler in Vaticano. Hudal si era già distinto come autore di un’opera di apologia del nazismo pubblicata nel 1937 (in cui definiva il nazionalsocialismo “una grazia divina”).
Un’organizzazione capillare
Padre confessore della comunità tedesca a Roma, Alois Hudal organizzò un inappuntabile espatrio per oltre 1000 “persone senza colpa, capri espiatori di un sistema malvagio”. Insieme a monsignor Karlo Petranović, egli stesso un criminale di guerra ustascia fuggito in Austria, si appoggiò ai servizi dell’Ufficio austriaco di Roma per ottenere i documenti necessari alle migrazioni. Sembra che nella rete fosse coinvolto anche il presidente della Croce Rossa Internaionale Carl Jacob Burckhardt.
I criminali in fuga
Le “persone bisognose” a cui Hudal faceva riferimento erano a tutti gli effetti criminali di guerra. Come Franz Stangl, comandante del campo di Treblinka, a cui il vescovo trovò un lavoro in una fabbrica tessile di Damasco. Ma non solo: tra i beneficiari del suo supporto si contano anche il dottor Josef Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz, e Adolf Eichmann, uno dei responsabili operativi dello sterminio degli ebrei. Il passaporto di quest’ultimo, rilasciato dalla Croce Rossa, portava il nome di Ricardo Klement.
Erich Priebke, ex capitano delle SS che diresse l’eccidio delle Fosse Ardeatine, dichiarò a La Repubblica che era stato proprio Hudal ad aiutarlo a raggiungere Buenos Aires. Il ricercatore italiano Matteo Sanfilippo nel 1999 pubblicò una lettera che Hudal aveva indirizzato nel 1948 al presidente argentino Peròn. Nella missiva gli chiedeva 5000 visti per “combattenti anticomunisti”.
Il coinvolgimento croato
Nella complessa organizzazione di Odessa, la via dei monasteri giocò dunque un ruolo fondamentale e permise la fuga di 5000 esponenti nazisti. Cellula strategica fu anche, secondo gli storici, il monastero croato di San Girolamo degli Illirici a Roma, vicino al porto di Ripetta. Fu scoperto dai servizi segreti americani che tenevano d’occhio gli strani tragitti delle vetture diplomatiche. Settimanalmente, queste compivano il tragitto da Afragola (sede di un campo) a Roma.
Hudal solo la punta dell’iceberg?
La storica Gitta Sereny, che ha dedicato opere e anni di ricerca al tema delle fughe naziste, ha ipotizzato che il vescovo Hudal fosse solo la punta dell’iceberg. Successivamente, Hudal sarebbe diventato il capro espiatorio del Vaticano, per nascondere gli sforzi propugnati per agevolare i nazisti, anche economicamente, verso l’impunità.
Fatto sta che la sfrontatezza di Hudal causò negli alti vertici della Chiesa non pochi imbarazzi, quando nel 1947 la stampa iniziò a pubblicare articoli riguardo alle sue attività clandestine. Solo nel 1952, però, si dimise dall’incarico di Rettore di Santa Maria dell’Anima e venne bandito da Città del Vaticano da Papa Pio XII. Rimase comunque a Roma e cercò sempre di ottenere un’amnistia per i nazisti, fino alla sua morte nel 1963.
Elisa Ghidini