Le occupazioni in Università si susseguono una dopo l’altra. Studenti e studentesse risignificano lo spazio dell’aula come luogo di presa di parola sulla realtà.
Abbiamo assistito di recente alle occupazioni di alcune Università italiane in segno di solidarietà diffusa da parte di studenti e studentesse per Alfredo Cospito contro il 41bis. L’8 febbraio è stata occupata l’Università l’Orientale di Napoli, dopo Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma e la Statale di Milano. Mentre il 7 febbraio a Bologna era stato indetto uno speak corner negli spazi occupati della sede di via Zamboni 38. Gli studenti prendono posizione e occupano i luoghi in cui si costruisce la loro cultura, l’Università. Ma questo tipo di organizzazione pone una riflessione sullo spazio universitario come sede di accensione del conflitto e del dibattito sulla realtà socio-politica contemporanea. Perché, infatti, gli studenti universitari decidono di occupare il luogo in cui si svolge la loro quotidiana vita accademica? Cosa rappresenta lo spazio dell’aula universitaria e quale occasione di scambio è possibile sperimentare al di fuori dell’orario delle lezioni?
Occupare per partecipare attivamente
Al vuoto di rappresentanza della nuova classe dirigente i giovani rispondono ripartendo dall’occupazione degli spazi dell’Università per costruire un luogo in cui attivare parole di protesta. Qui è dove avviene una produzione e uno scambio di saperi sempre crescente, che sono il motore dello sviluppo sociale, civile e scientifico di ogni paese. La ricerca e lo studio contribuiscono al divenire della cultura permettendo ai giovani di rielaborare ciò che accade dentro e fuori l’aula, di sentirsi soggetti attivi all’interno della società. Gli studenti non sono semplicemente individui che richiedono informazioni e conoscenze che vengono elargite durante le ore di lezione. Gli studenti sono soggetti che producono attivamente saperi e conoscenze che vengono socializzati per generare un bene pubblico, dei modelli di vita diversi pensati per tutte e tutti.
Le occupazioni in Università come gesto pubblico e corale
La partecipazione si concretizza nell’azione e l’azione si esprime attraverso un gesto pubblico, che diventa manifestazione di una coralità: l’occupazione delle strade, delle piazze o le occupazioni degli spazi in Università. Tale coinvolgimento deve riguardare tutti gli studenti, per cui il sapere che circola nelle singole aule universitarie deve costituire il fondamento che permette di riflettere ed elaborare nuove prassi trasformative della realtà esistente. Il momento della formazione culturale converge verso la formazione di una cittadinanza. Lo studente universitario non è solo uno studente. Attraverso l’acquisizione di nuovi contenuti si pensa cittadino, un soggetto attivo che manifestando si dà una possibilità collettivizzata di un cambiamento.
L’aula universitaria come laboratorio di rielaborazione politica
Il diritto allo studio è diritto alla conoscenza e le istituzioni hanno il compito di garantirlo. Le istituzioni devono sostenere gli spazi universitari come luoghi in cui gli studenti interrogano la realtà e si inseriscono al suo interno per cambiarla. È tramite la conoscenza e il suo scambio che è possibile produrre una società e una socialità diversa, e dal confronto di più saperi può nascere la premessa all’organizzazione di una vita più democratica. L’Università non deve essere il luogo dell’utile, della professionalizzazione e della rinuncia al discorso pubblico. Nelle occupazioni delle università di queste settimane leggiamo la volontà da parte degli studenti di ridefinire il ruolo e lo spazio dell’Università stessa, attraverso la sperimentazione di nuove forme sociali in cui i saperi e le conoscenze si possono slegare dalle logiche del mercato per rientrare in un discorso di rielaborazione politica e di azione concreta sulla realtà.