Occupazione climatica: la protesta della campagna End Fossil

Occupazione climatica

La campagna internazionale End Fossil torna in Italia con il preciso scopo di combattere l’economia fossile nel nostro paese, ma in generale nel mondo. Una vera e propria “occupazione climatica” di scuole e università da parte dei manifestanti che in solo un anno di attività sono riusciti ad occupare più di 100 istituti. Non solo vengono occupati atenei come La Sapienza e l’Università di Pisa, ma anche istituzioni nazionali, in modo da ottenere quanta più attenzione dai governi possibile.

Campagna End Fossil: chi sono e cosa chiedono

Stop all’economia fossile nel mondo. È questa l’unico, ma chiaro, messaggio portato avanti dalla campagna internazionale End Fossil, nata nel 2022 da un gruppo di giovani studenti attivisti. Un programma preciso condiviso da moltissime persone, che hanno manifestato attivamente sia l’anno scorso che nei primi mesi del 2023, arrivando ad occupare oltre 100 istituti, tra scuole e università (oltre che piazze e strade). Risultati sicuramente interessanti che continueranno anche quest’anno: per il secondo anno di attività End Fossil si propone di essere ancora di più di intralcio al mondo dei combustibili fossili volendo, a partire da novembre, occupare oltre agli atenei e alle scuole anche le istituzioni nazionali, per poter attirare l’attenzione dei governi sulle loro richieste.

Come dichiarano sul loro sito ufficiale, gli attivisti di End Fossil vogliono “cambiare il sistema ponendo fine all’economia fossile a livello internazionale“, ponendo diverse richieste a seconda del contesto in cui la protesta avviene: ad esempio il termine dell’estrazione dei combustibili fossili, lo stop alla loro importazione ed esportazione, alla finanza fossile e così via. Sottolineano inoltre come sia necessario un intervento immediato da parte della società e che di conseguenza non si possa aspettare che “i governi e le istituzioni negozino o cambino da soli”. Per questo chiedono, agli studenti, di manifestare, “occupare le scuole, le università e di intralciare le istituzioni nazionali, rifiutando di essere ignorati”, e ai non studenti di interrompere per quanto è in loro potere il tradizionale business basato sul fossile.

Un vero e proprio manifesto quindi, che incita al cambiamento della società volendo a tutti i costi azioni concrete e radicali allo scopo di porre fine alla crisi climatica. E da novembre è arrivato anche in Italia.

L’occupazione climatica delle università italiane

Il primo ateneo occupato è stato quello di Pisa, seguito poi da La Sapienza di Roma e dall’Università di Torino, ma questa “occupazione climatica” non accenna a fermarsi. Le università però vengono occupate non solo perché sono centri di aggregazione culturale e di formazione, ma anche in quanto sono legate alle grandi multinazionali dei combustibili fossili, una su tutte Eni.



L’azienda è partner di molte università italiane, a cui fornisce finanziamenti (circa 10 milioni di euro), partnership in corsi di laurea e di ricerca, acquisto di brevetti e molto altro; un report stilato da Greenpeace stima che su 66 università contattate, 36 hanno rapporti di finanziamento o collaborazione con Eni. Certo, per la Big Oil sono fondi destinati ad avere nuove risorse e tecnologie da impiegare, ma per gli attivisti sono accordi da limitare per evitare di incrementare l’utilizzo e il mercato dell’energia fossile. Una posizione che può essere condivisibile o meno, ma che di sicuro deve far riflettere e trovare un punto di incontro. Non è un mistero che problemi come il surriscaldamento globale, la crisi climatica e la crisi energetica esistano e non abbiamo ancora una soluzione definitiva; occorre quindi che ci si interroghi maggiormente nelle sedi istituzionali di tutto il mondo su come si possano risolvere o quantomeno arginare queste difficili situazioni. I giovani scendono in piazza, bloccano le strade e le università, ora tocca ai governi fare qualcosa di concreto.

Marco Andreoli

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