È successo a San Francisco, al Museum of Modern Art. Un giovane ragazzo di 17 anni, TJ Khayatan, dopo un giro tra le opere di arte moderna ha pensato a uno scherzo che è al tempo stesso una burla e una grande provocazione pari ai ragazzi di Livorno e le loro teste di Modì.
Era con dei suoi amici a visitare insieme il museo, quando decide, dopo la visione di certe opere probabilmente bizzare al punto da suggerirgli strane idee, di poggiare i suoi occhiali a terra per vedere la reazione dei visitatori. Occhiali a terra, null’altro: non c’era cartellino identificativo, né una linea di sicurezza che demarca la distanza tra il visitatore e l’opera, nessun piedistallo, nulla: solo degli occhiali a terra. Potrà mai esserci cascata, la gente, oppure avranno semplicemente pensato che quelli fossero occhiali a terra che qualcuno ha perso lì?
Come nei migliori sketch comici, ovviamente la prima opzione: i visitatori, nel loro percorso, si sono fermati in gruppi o singoli a osservare, col fare pensoso, gli occhiali. Alcuni hanno persino fatto le foto. TJ, lì presente a godersi lo spettacolo, ha caricato le foto sui social, scatenando l’ennesimo fenomeno virale su internet.
Certo, le persone che erano al museo non c’hanno forse fatto una bella figura, ma così sarebbe successo ovunque e solo per colpa per una storta visione dell’arte che serpeggia con comodità, al giorno d’oggi.
Spesso chi parla di arte rischia di essere frainteso o non compreso del tutto; c’è la possibilità che si venga etichettati come intellettuali tromboni che vogliono tirarsela, come se fare arte o parlare di arte fosse una cosa che richiede un intelletto sopraffino. Da una parte la diffidenza, dunque, dall’altra invece una totale umiliazione del concetto d’arte spacciata per spirito dissacrante e provocatorio. Degli occhiali a terra sono arte? Chissà: magari con un significato dietro remoto, qualcosa di interiore da parte dell’artista, qualcosa che… non si spiega. Chissà, forse sì. Ma il punto, incredibilmente semplice e forse per questo complesso; qualcosa che chiunque sembra aver dimenticato, è questo: forse avrà un significato, forse no, ma basta poco: basta comprendere se comunica. Nessun significato è significato a priori: lo diventa se a te dà un senso. Sennò è niente, il vuoto, il silenzio. Sennò sono solo occhiali lasciati a terra e che qualcuno ha sbadatamente perso.
Quello che TJ ha dimostrato attraverso questo scherzo altro non è che la paura delle persone davanti al giudizio, alla critica, all’osservazione. Ne abbiamo sentite tante di storie riguardo opere d’arte che solo a parlarne lasciano perplessi, eppure abbiamo fatto spallucce, accantonando il discorso con “eh ma che ne devo capire io”. E invece no: ognuno capisce quel che sente. Se non sente nulla, bè, allora non è arte, perché l’intento di comunicare è fallito.
Probabilmente, con un minimo di onestà umana, nessuno si proclamerebbe esperto d’arte, nemmeno il più studioso degli studiosi, poiché potrebbero sempre, nel futuro, erigersi nuove forme di espressione da lasciare sbigottiti e disorientati, lanciati così fuori dagli schemi.
Se molta dell’arte di oggi è pura spazzatura perché palesemente manipolata dal marketing che sfrutta l’ignoranza, la stupidità e l’ingenuità delle persone, è perché purtroppo, dopo millenni di nobile storia dell’umanità, abbiamo deciso di vendere l’anima al diavolo. Ma bastano pochi suggerimenti per salvarsi dall’inferno dell’apatia, dell’incomunicabilità e dell’insensatezza:
Osservare:
Quando ci troviamo davanti a un’opera d’arte, specialmente se di arte moderna, non dobbiamo avere fretta di dire o di pensare: se un qualche meccanismo magico si innesca, tra noi e l’opera, avverrà automaticamente. L’osservazione non solo permette di analizzare, ma apre un canale comunicativo tra noi e quello che guardiamo, permettendoci di maturare un’opinione a riguardo.
Non avere paura di giudicare:
C’è questo miserabile pensiero secondo il quale “non sei nessuno per giudicare”. Ma chi l’ha deciso? E perché, poi? Siamo chi siamo per giudicare, ovvero esseri capaci di pensare e quindi di esprimere un giudizio, che sia una critica o un complimento. Certo, magari certi giudizi sono fatti in maniera frettolosa, ma siamo esseri umani e possiamo concederci il piacere di rimetterci in discussione, ritornare sui nostri passi e chiedere scusa. L’arte può essere “epidermide e simbolo“, come scrisse Oscar Wilde e in quanto tale, può dirci solo quello che vediamo ma anche quello che non c’è, almeno a una prima osservazione. Per questo motivo l’arte va giudicata di pancia e di testa: può essere brutta, può essere bella, può essere brutta ma con un profonda chiave di lettura, può essere bella e piena di significato. Può essere tanto, proprio come noi. E allora nessun problema: ho un pensiero a riguardo e lo esprimo.
Non avere paura di non capire:
Una volta una saggia donna raccontò: “ero a una mostra temporanea. Vidi un’installazione che a me proprio non diceva nulla: erano tre sacchi di grano appesi al muro, tutti e tre forati in fondo. Il grano scorreva sul pavimento come una cascata, e la performance era tutta là: in questo grano che scorreva per terra. Non riuscivo proprio a capire il senso, non mi piacque. Però pensai solo a una cosa, in quel momento: bisogna avere il coraggio di fare un’installazione del genere”.
Non intendeva il coraggio in quanto sfrontatezza, qualcosa di cui vergognarsi. Intendeva vero e proprio coraggio, da avventuriero. Perché certe opere d’arte saranno pure discutibili, ma lo stesso atto di discutere intorno a loro significa quindi aver mosso qualcosa e qualunque artista, o chi ci prova, sa a cosa può andare incontro. Perciò, per quanto la comunicazione possa fallire, cadere, annullarsi, e quindi in sé invalidare l’arte, forse non tutto è perduto, non tutto è invano: forse c’è sempre qualcosa che si accende. Dunque è importante non avere paura di non capire, di comprendere, perché anche discutere e criticare è una forma di coraggio, proprio come quello di fare un’opera che nessuno farebbe.
Imparare a vivere l’arte è semplice, solo siamo distratti dalle buone maniere circa questa. Ma se affrontassimo l’arte come affrontiamo la vita, di pancia e di testa, forse nessun paio di occhiali a terra, lasciati a casaccio, ci farebbe perdere la vista, mai più.
Gea Di Bella