L’essere gravemente sovrappeso è tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo di tumori, ma da un recente studio, sembra che l’obesità renda più efficaci alcune terapie che aiutano il sistema immunitario nella lotta contro le cellule malate.
Come può essere che un fattore, l’obesità grave, possa risultare contemporaneamente un amico del tumore, ma anche un suo avversario?
Lo studio, effettuato dell’Università della California Davis e pubblicato su Nature Medicine, fornisce una possibile spiegazione di quanto osservato in campo oncologico.
Obesità e tumore
Ad oggi si è certi che l’obesità, la quale sta raggiungendo proporzioni pandemiche, è tra i più importanti fattori di rischio per molti tipi di tumori. Essa facilita la diffusione delle cellule cancerose, promuove le recidive, peggiora le probabilità di sopravvivenza e indebolisce il sistema immunitario. Inoltre nei trattamenti con alcuni farmaci che stimolano più del dovuto il sistema immunitario, al fine di uccidere le cellule tumorali, può causare effetti collaterali gravi. Ma poiché la scienza non è una semplice equazione matematica che dà sempre lo stesso risultato, alcune volte le cose non vanno così. Infatti, l’obesità sembra aiutare una delle forme più promettenti di immunoterapia, quella a base di inibitori dei checkpoint immunologici (che quest’anno è valsa un Nobel per la Medicina all’americano James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo).
Che cosa sono gli inibitori dei checkpoint immunologici?
Per rispondere a questa domanda possiamo usare le stesse parole usate dall’ AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), “i checkpoint immunologici sono molecole che, fra le altre cose, inviano segnali intracellulari inibitori, che frenano l’attività del sistema immunitario quando, per esempio, i patogeni estranei sono stati eliminati e l’azione distruttiva non è più necessaria”. In parole più semplici, si tratta di freni proteici (come la proteina PD-1, sulla superficie dei linfociti T) che sorvegliano l’azione di alcuni leucociti impedendo loro di intervenire in un momento nel quale l’azione sarebbe non solo non necessaria, ma addirittura controproducente. Le cellule cancerose traggono vantaggio da questo freno che stimolano per poter proliferare indisturbate. Sbloccare questo freno immunitario, con farmaci che blocchino l’attivazione della PD-1, fa tornare i linfociti T “iperattivi” e quindi pronti a lottare contro i tumori.
Lo studio
Dai dati ottenuti da uno studio che esaminava l’associazione tra l’indice di massa corporea (BMI) e la sopravvivenza in pazienti affetti da cancro trattati con terapia mirata, immunoterapia o chemioterapia è emerso che l’obesità era associata ad una migliore sopravvivenza rispetto a quelli ottenuti in pazienti con BMI normale. Scopo dell’immunologo Murphy e dei suoi colleghi autori del nuovo lavoro è stato quello di fornire una spiegazione a questi dati “paradossali”.
Nel loro studio infatti il team di Murphy ha individuato le possibili basi biologiche alla base di questo fenomeno.
Una prima fase dello studio è servita a confermare che i tumori proliferano più velocemente nei topi sovrappeso. Nella seconda fase sono stati esaminati e studiati i linfociti T di topi, scimmie e persone obese.
Spiegare il paradosso
Osservando i risultati ottenuti dallo studio, Murphy e colleghi hanno notato che i guardiani, i linfociti T, erano lenti a proliferare ed inoltre avevano quasi annullato la produzione di specifiche proteine in grado di richiamare altre cellule a dare manforte. I linfociti, inoltre, mostravano una maggiore quantità della proteina-freno PD-1: per le cellule tumorali era dunque più facile bloccarne l’azione e proliferare indisturbate.
Come spiegare dunque il paradosso? Secondo i ricercatori la chiave risiede nella maggiore quantità di proteina PD-1 evidenziata. Infatti, se da una parte l’eccesso di PD-1 favorisce la proliferazione indisturbata del tumore, dall’altra ha anche un effetto opposto, benefico. Si è visto come l’abbondanza della proteina PD-1 sulla superficie dei linfociti-T ha reso i topi più responsivi agli inibitori di questo freno proteico somministrati per via farmacologica. Dunque, gli immunoterapici rilasciano il freno proteico e i linfociti T entrano in azione.
Ma chi è il responsabile di questo aumento? Sempre secondo questi autori, l’ipotetico responsabile dell’aumento delle proteine PD-1, sarebbe la leptina, un ormone secreto dalle cellule lipidiche che svolge un ruolo anche nel sistema immunitario. Qui si riscontra e si chiarisce il paradosso: i linfociti T nutriti dal glucosio abbondante negli organismi sovrappeso, lavorano in modo più efficace che nei topi normopeso.
Conclusioni
Scopo di questo studio non è sicuramente quello di incoraggiare le persone all’obesità come possibile cura per il tumore. Lo studio, infatti, mira a sfruttare questo “paradosso” per potere migliorare la prognosi dei pazienti magari grazie proprio alla somministrazione di leptina. Questa è solo una possibile strada di ricerca, ma poiché l’equilibrio tra efficacia e rischio di far proliferare i tumori è delicatissimo bisogna procedere con molta cautela.
Maria Di Naro