Il Kenya è tra i Paesi più sviluppati dell’Africa, uno sviluppo economico che spesso va di pari passo con la produzione di rifiuti. In Kenya il problema della gestione dei rifiuti è molto grave. Se ne producono annualmente circa 3 milioni di tonnellate e ne vengono riciclati solo l’8%. Se si considerano solo gli imballaggi di plastica, la produzione si aggira sulle 270mila tonnellate, e ne vengono riciclate circa il 15%. In Italia la percentuale è di circa il 43%.
Un Paese ricco che ha bisogno del riciclo
È di circa un anno fa, un’inchiesta del New York Times sui tentativi di grandi compagnie petrolifere e petrolchimiche statunitensi per assicurarsi nuovi mercati durante la crisi da Coronavirus. Diminuita la richiesta di carburanti a causa della riduzione dei viaggi in tutto il mondo, le grandi società statunitensi si stanno concentrando sulla plastica, e su un mercato dove pensano di poterne vendere ancora molta, l’Africa.
Erano in corso (nel 2020) tra l’amministrazione di Trump e quella keniota trattative per rinnovare un grosso accordo commerciale per permettere ai due paesi di esportare beni senza pagare dazi. Un’occasione, secondo l’inchiesta, per le grandi società statunitensi di rendere più facile l’esportazione di plastica in Kenya: perché il paese ha una delle economie più sviluppate del continente e perché il Kenya potrebbe diventare un centro di distribuzione di prodotti chimici e di plastica statunitensi verso altri mercati africani. Per fortuna l’amministrazione è cambiata e anche la sua politica verso l’ambiente.
Rimane l’ immane produzione di rifiuti del Kenya, destinata a raddoppiare entro il 2025. Molti Paesi africani sono già attivi nel riciclo della spazzatura, della plastica in particolare, come il Sud Africa, economia più ricca del continente, che ha già all’attivo più di duecento aziende operative. Il Kenya ne ha molte di meno ma sta già recuperando.
Tentativi “sostenibili”
Dal giugno dello scorso anno nelle zone protette del Kenya – parchi nazionali, spiagge, riserve faunistiche e foreste – la legge proibisce di usare oggetti e imballaggi di plastica monouso. Si tratta della seconda iniziativa di rilievo che ha adottato il Paese per contrastare l’inquinamento ambientale prodotto dai rifiuti. Il primo fu del 2017, quando sono stati banditi i sacchetti di polietilene in cui, in tutti i mercati del paese, veniva riposta ogni sorta di merce.
L’attenzione al riciclo, però, si sta diffondendo nel Paese e sta contagiando anche le persone. Fioriscono iniziative e progetti, soprattutto tra i giovani. Una giovane imprenditrice keniana, Nzambi Matee, ha fondato la startup “Gjenge Makers“, un progetto creativo e sostenibile, dalle nobili intenzioni: convertire i rifiuti di plastica in materiali da costruzione sostenibili, resistenti ed economici.
Il progetto di Nzambi Matee
La giovane imprenditrice ha avuto l’idea di riciclare gli imballaggi di plastica. Grazie a dei macchinari, vengono mischiati i pezzetti di plastica con la sabbia ad alta temperatura e poi compressi. Grazie alle caratteristiche fibrose della plastica, è in grado di produrre mattoni leggeri e resistenti, ma anche piastrelle per pavimentazione e coperture per tombini.
Un progetto che ha il valore di riciclare i rifiuti e quindi di contribuire al calo dell’inquinamento ambientale delle aree urbane e periferiche del Paese, come strade e spiagge; inoltre, favorisce il recupero urbanistico e sostiene l’economia: il materiale prodotto viene venduto a prezzi accessibili per incentivare altre aziende e per essere alla portata di persone con mezzi economici limitati. Non solo, il progetto di Matee ha già creato 110 posti di lavoro a Nairobi. Dal 2018 “Gjenge Makers” ha già riciclato più di 20 tonnellate di rifiuti di plastica.
La startup ha vinto il premio “Young Champions of the Earth 2020” delle Nazioni Unite.
Marta Fresolone